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Mi chiamo Andrea, “dj-prof” Franceschetti

Io e la mia Panda siamo una cosa sola. Io la mia Panda non la guido, la indosso!”
Mi presento. “Gli editori che hanno il coraggio di pubblicare i miei libri e gli organizzatori di convegni che non si vergognano di coinvolgermi come relatore, quando mi presentano parlano di Andrea Franceschetti come di un “professore, giornalista, scrittore, compositore, divulgatore culturale, conduttore…”. A me, invece, piace ancora definirmi “studente”. Studio ancora, infatti, con la curiosità morbosa del 1988, quando cominciai il mio cammino da studentello che veniva dalla Pieve al Borgo e, quindi, non aveva mai visto un semaforo! Oggi ho 50 anni e sono (lo spero!) “Nel mezzo del cammin della mia vita”. Dante, infatti, si immaginava nella metà esatta del cammino all’età di 35 anni, e quindi sperava di campare 70 anni. Io, a 50, punterei, dunque, a camparne 100. Ora, però, va detto che la proiezione presenta un inghippo: Dante di anni totali ne campò solo 56. Ne deriva che, se faccio una proporzione, l’età a cui arriverò io saranno gli 80. Ne ho a disposizione ancora una trentina. Dal primo gennaio 2054 comincerò a salutare tutte e tutti. Da qui a quell’istante non avrò ancora cambiato la mia Panda a metano, che m’accompagnerà, lo so, anche al cimitero, con sul groppone me e (facendo un breve calcolo) circa 993.000 Km. Ah, la mia Panda… le mie figlie lo sanno: che duri la mia Panda, perché finita la Panda, finito il babbo! Io e la mia Panda siamo una cosa sola. Io la mia Panda non la guido, la indosso!”. Con questa esilarante presentazione, inizia il viaggio per conoscere un personaggio che di fatto si rispecchia in pieno in questa rubrica: Andrea “Dj-Prof” Franceschetti.
· “Dj-Prof” binomio che può sembrare scomodo… e invece?
“Nel capitolo 3 del libro biblico dell’Ecclesiaste, si legge (l’ho imparato a memoria perché mi è sempre tornato tanto bene): “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per essere seriosi e un tempo per ballare”. Vado avanti con le citazioni (io ci ho l’eccitazione per la citazione!): il poeta latino Orazio scrive, in un’ode del quarto libro, che “Dulce est desipere in loco”, ovvero che “è bello rimbecillire a tempo e luogo opportuni”. Amo fare musica con gli altri perché non c’è gesto dell’intelletto umano che riesca a pareggiare la musica. Per me la musica è un afrodisiaco, il pentagramma sono i capelli di Venere! Frequento frequenze perché mi acuisco nell’acustica, vibro di vita mentre propago vibrazioni. La musica è un mio lucido abbandono. Riesce a farmi sintonizzare col mondo. Scomodo anche Ungaretti: grazie alla musica, torno a sentirmi una “docile fibra dell’universo”. La musica è sintesi perfetta di numero e poesia, nel battere e levare di un sospiro”.
· Quando è nata la scelta di diventare professore?
“Uscivo di casa per andare a scuola e la mia povera mamma, dalla cima delle scale, mi diceva: “Andrea, lo hai preso il fazzoletto?”. Poi aggiungeva, ogni mattina: “Mi raccomando, Andrea, studia, diventa maestro, così non fai la vita che abbiamo fatto io e il babbo”. Ho avuto un babbo camionista e una mamma che vendeva le bombole di GPL. M’hanno garantito di poter raggiungere i più alti gradi di istruzione. È solo grazie a loro se oggi sono un professore. Quando ero bambino, c’era un unico libro in casa mia: quello per prepararsi ai quiz per la patente di guida; non avere libri in casa, mi ha messo addosso una curiosità immensa di sfogliarli, di raccontarli, di scriverli, che ancora non m’abbandona. Continuo a farmi afferrare, rapire e trasportare vorticosamente dallo stordimento della curiosità, della sperimentazione, del voler sapere e del pretendere di tradurlo in conoscere, del godere di questa meravigliosa presenza umana - e quindi culturale - che mi circonda. E, poi, ho avuto, al liceo “Piero della Francesca” di Sansepolcro, degli esempi di insegnanti talmente tanto belli, che m’hanno fatto dire: “Voglio diventare come loro!”.
· E invece la vena di presentatore e ‘mattatore’?
“Dal banco al saltimbanco? È un attimo! Per fare l’insegnante non basta sapere, c’è bisogno anche di saper trasmettere. È fondamentale rendere accattivanti le informazioni che trasmetti. Quando mi chiedono di presentare eventi o quando li creo per conto mio per destinarli a un pubblico, non faccio altro che allenarmi per essere più accattivante nello spettacolo quotidiano del lavoro in classe con le ragazze e i ragazzi. Sono loro, i miei studenti, il pubblico più difficile”.
· Utilizzando un aggettivo, quindi, come si definirebbe?
“Appassionato. Costantemente appassionato. I miei desideri sono esauditi ma non ancora esauriti. Certo, ormai sono grandino… Sento gli anni, sto ripiegando dal “Tantum verde” al “Tantum ergo”. Sento gli anni, anche da prof, e, più che aule, frequento “Aulin”. Sento gli anni, più che far lezioni mi faccio di lozioni. Sento gli anni, sono passato dal far fare tesine al farmi fare tisane. “Di che segno sei?” mi chiedono, e io: “Della croce”. Sento gli anni, e da insegnante avverto evidente ciò che mi separa dagli studenti che maledettamente e simpaticamente mi sorprendono, a ogni inizio di anno scolastico, facendosi trovare, puntuali, alla stessa età, mentre io mi allontano di un anno da loro e dalla vita. Appassionato, sì, anche se avrei preferito rispondere “bello, intelligente e giovane” … perché, se non consideriamo il bello e l’intelligente, lo sono stato anche io! Addirittura, nel 1986, Gianna Nannini mi ha anche dedicato una canzone, “Bello e impossibile”, anche se, a onor del vero, il titolo originario era “Bello? è Impossibile!”.
· Professore e ‘mattatore’ in vari eventi della Valtiberina: come riesce a tenere distanti e unire al tempo stesso questi due ruoli?
“In nome della curiosità, della sperimentazione dei generi e dei campi. Anche se, devo ammettere, che “a forza di essere molto informato so poco di tutto” (come canta Jovanotti): diciamo che sono cintura nera di Arti “Parziali”. Se fin dall’inizio di questa chiacchierata, se in tutti i giorni della mia esistenza, faccio ricorso all’ironia, è perché per farmi prendere sul serio sono costretto a fare il comico. Tutto quello che c’è da sapere, da tramandare e da insegnare “lo scopriremo solo vivendo” o solo ridendo? L’ironia ti garantisce di simulare dissimulando, di dire dicendo il contrario, di far sorridere e riflettere al contempo, di sbirciare il mondo dall’alto senza lasciarsi coinvolgere, così da investigarlo, giudicarlo e affrontarlo meglio. Comunque la racconti, è una vita sospesa fra matematica e poesia, fra sacro e profano, fra prof e DJ, fra “Dottor” Andrea e “Mr” DjProf”.
· Come è cambiata la scuola dalla sua prima lezione ad oggi?
“Sono della generazione “from” virtù “to” virtuale, quella che viene dall’intelligenza aguzzata dal bisogno e che oggi si ritrova a lasciarsi smussare l’intelligenza residua dalle intelligenze artificiali. Faccio parte di quella schiera un po’ démodé dalle aspirazioni tipiche della categoria dei “Giovani Wannabe”. “Noi usiamo lo smartphone” ci dicono i giovani autentici “noi usiamo l’iPad, noi usiamo l’iPod, noi usiamo le AirPods, noi usiamo l’Hotspot, noi usiamo Spotify, noi usiamo Satispay, noi usiamo l’E-reader, noi usiamo la LIM… ma voi, prof, che cosa usavate?” “Il cervello…” io rispondo fra il candore ingenuo e l’orgoglio. Non sono cambiate le cose nelle mie aule e fra i miei ragazzi. Più che mai è cambiato il mondo fuori. Di questi tempi, l’ignoranza dilaga, la senti nell’aria! Appena l’altro ieri, con un conoscente, al bancone del bar, mi è scappato detto “Van Gogh” e questo mi ha risposto, offeso e stizzito e indispettito, “Ma vacci tu!”, sbattendo la tazzina del caffè sul piattino e guadagnando immediatamente l’uscita. La stupidità, poi, ha fatto passi da gigante. È come un sole accecante. Con i nuovi media, la stupidità non è neanche più la stessa, non è più quella dei nostri tempi. Ennio Flaiano scriveva, già sessant’anni fa, che la stupidità si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé. Oggi siamo retrocessi dal ‘guardare il ciel’ al ‘fissare il cell’. Il nostro naso in su verso l’‘up’ si è abbassato all’ ‘app’ finendo in ‘loop’. Mentre ieri i nostri genitori sono stati poco figli e, quindi, da subito, molto padri, noi siamo stati troppo figli per essere, oggi, adeguatamente padri. I giovani di oggi devono perdonarci se ci dimostriamo un po’ antiquati e se siamo parecchio vecchi nel fare questi ragionamenti, ma siamo la generazione di mezzo che ha materialmente vissuto a cavallo fra il tempo in cui tutto questo bailamme social non c’era e il tempo in cui social e intelligenze artificiali imperversano indisturbati. Perdonateci, quindi, giovani, per il nostro essere gli inadeguati a questo tempo ipertecnologico, in cui siamo stati improvvisamente catapultati (mentre voi ci siete nati e cresciuti); perdonateci per il contemporaneo nostro coincidere con gli ultimi testimoni di un tempo che fu e che non è più possibile che sia, ma del quale ancora siamo in grado di apprezzare e di farvi apprezzare alcune bontà”.
· E il ‘debole’ per Dante?
“Dante, dopo sette secoli dalla morte, potrebbe ancora rispondere a qualunque nostra richiesta, a qualsiasi nostra indagine o esigenza, sul suo e il nostro tempo. La sua Commedia ne sa quante Wikipedia! In lui sono riposte le risposte. È che bisogna sapergli rivolgere le giuste domande e arginare prudentemente il fiume in piena della curiosità che egli stesso ci accende dentro. Dante? Troppo avanti! Così avanti che ancora regge il nostro passo. Anzi, il più delle volte ci precede. Se lo incontrassi oggi mi direbbe come quell’autista di autobus turistici che ci portava sempre in gita, quando provavo a dargli consigli sulla strada: “Professorinooo, per favore! Ho fatto più chilometri io in retromarcia che te in avanti!”. Io sono fra gli allucinati sostenitori del fatto che Dante questo viaggio ultraterreno l’abbia affrontato e compiuto per davvero, in quella Settimana Santa dell’anno giubilare Uno-Tre-Zero-Zero. L’unico elemento che posso portare a riprova di quanto sostengo è la chiarezza, la vividezza, la concretezza con cui quest’uomo racconta quanto gli sarebbe accaduto, quanto avrebbe visto, anzi… quanto gli è accaduto e quanto egli ha visto. Il mio raccontare quanto di concreto mi capita tutti i giorni neanche riesce ad avvicinarsi al 3D, alla tridimensionalità delle sue descrizioni. Se io, nel mio quotidiano aldiquà, non riesco a smuovermi dalla bidimensionalità descrittiva, non riesco mai a superare i limiti di uno striminzito e cartesiano piano contrassegnato dai soli assi x-ascisse e asse y-ordinate, egli come avrebbe potuto non aver davvero vissuto il suo straordinario aldilà, visto che riesce a raccontarmelo, a raccontarcelo in 3 dimensioni, a tutto tondo, a tutto mondo, avvalendosi degli assi v-versi, r-rime, c-cuore?”.
· Può esistere una collaborazione oppure amicizia tra alunno e docente?
“Le due agenzie formative più importanti, anche nel 2025, restano la Famiglia e la Scuola. Esse, ancora nel 2025, si basano su rapporti obbligatori e asimmetrici. Ma io, sul versante della Scuola, parto anche da un altro presupposto: sono un privilegiato per avere la fortuna, tutti i giorni, di frequentare giovani dai 14 ai 19 anni. In qualche modo, ogni mattino, li devo ringraziare. Vivo l’immenso onore di lavorare… pardon… di insegnare nella terra di Piero della Francesca e Luca Pacioli, due che sono ancora vivi perché davvero troppo avanti! Pensiamo solo alle loro iniziali: il destino ha voluto che fossero PDF ed LP; PDF era così avanti che era già un formato elettronico! LP era così avanti che la sua Matematica, la sua Geometria, la sua Computesteria erano un LP, un Long Plain, un disco musicale che ci fa godere ancora oggi! Il rispetto, a Scuola, o lo ottieni instaurando un clima di terrore in classe oppure lo ottieni guadagnandotelo ogni giorno a colpi di assunzione reciproca di responsabilità. Nelle verifiche scritte e orali, ad esempio, io non voglio andare a cercare quello che i miei ragazzi non sanno, ma voglio scoprire quante ne sanno. Le mie studentesse e i miei studenti affrontano le mie interrogazioni non con la paura di non sapere ma con la voglia di farmi sapere che sanno e, quando non ci riescono, ci restano male perché hanno paura di avermi deluso. Io non voglio che, alla fine del loro percorso scolastico, desiderino bruciare i libri in cui li ho fatti studiare. Io non voglio che abbiano paura di me: io desidero che nutrano un timore reverenziale nei confronti di quelle materie che studiano insieme a me. Per ottenere da loro rispetto ci vogliono coerenza e passione. Io insegno a futuri ingegneri aerospaziali, chirurghi, architetti, giudici, capitani d’azienda… e ho un solo obiettivo: fra vent’anni, immersi come saranno fra partite doppie, cuori da operare, persone da giudicare in tribunale, navicelle da lanciare nello spazio… vorrei che sentissero il bisogno di tenere, sopra il comodino accanto al letto, un libro da leggere prima di addormentarsi”.
· Senza dimenticare che Andrea Franceschetti è anche un giornalista e pure scrittore: cosa ci dice in materia?
“Provo a rispondere simultaneamente, raccontando, come uno scrittore, il mio giornalismo. Ho cominciato a conquistarmi il mio tesserino da giornalista con le cronache pomeridiane dai campetti calcistici senza erba della seconda categoria. Dettavo questi primi miei trafiletti alla redazione centrale per telefono: dall’altra parte del ricevitore, c’era un giornalista che batteva sulla tastiera quello che gli dettavo. Il gioco del telefono senza fili lo abbiamo fatto tutti, quindi potrete immaginare quanti errori di ascolto e battitura c’erano, il giorno dopo, sulle pagine del giornale, sul tabellino del match. L’arrivo del fax mi facilitò la vita (scrivevo il pezzo, risparmiavo tempo non dovendo più attendere il mio turno di dettatura telefonica, si evitavano errori di fraintendimento telefonico): di certo non la facilitò a chi, in redazione, doveva copiare il pezzo sul giornale. Poi giunse la rivoluzione della posta elettronica. Mi ricordo, però, che, mentre scrivevo il pezzo, intanto accendevo il modem che, collegato alla linea telefonica, impiegava alcuni minuti prima di prendere la linea. Per corredare i miei pezzi di cronaca e politica locale (nel frattempo ero salito di grado…), i miei genitori, a Natale, mi comprarono una macchina fotografica digitale: pesava un chilo, la dovevi attaccare col cavo al computer per scaricare le foto, l’alta qualità pretesa dalla redazione imponeva diversi minuti per il download dalla macchina fotografica al computer e diversi minuti per l’invio come allegato alla mail contenente il pezzo. La notizia, per la prima volta, la gente la apprendeva e la leggeva l’indomani mattina sul quotidiano cartaceo, perché l’edizione online del giornale costantemente aggiornata ancora non esisteva. Ma veniamo all’oggi… Ho un amico che lavora per l’ANSA. Mi ha insegnato lui gran parte di quel poco che so e so fare sui versanti dell’informazione e della comunicazione. Oggi, come gran parte dei suoi colleghi d’impeto e assalto, svolge interamente il suo prezioso e impeccabile lavoro direttamente dal telefonino. Tiene informato il mondo all’istante. Con una sola mano. Più forte del mitico Atlante, il quale, costretto a tenere sulle spalle l’intera volta celeste per volere di Zeus, di braccia ne utilizzava due”.
· Come si immagina la scuola del futuro?
“Sono sempre più fermo nella convinzione che una riflessione preliminare sulla scuola debba essere condotta all’alba di ogni ipotesi di intervento migliorativo della società. Che cos’era la Paideia dell’antica Grecia! La Scuola italiana, oggi, invece, i ragazzi e le ragazze li fa cascare dalla Paideia nella brace! L’istruzione italiana, per com’è (troppo spesso male) concepita, commette contro i giovani il peccato senza redenzione di non lasciar loro il tempo di leggere un libro che sia uno. Studiano, studiano, studiano senza leggere, e non è concesso loro il futile e indispensabile sfizio umano di scegliersi in autonomia un volume, di goderselo dovendolo raccontare, poi, solo ed esclusivamente al proprio animo. Consentiamo loro di vivere appieno la scuola, doniamo loro 5 anni di parentesi felice di vita proponendo loro oggetti improbabili, inconsueti, strani, quegli oggetti meravigliosi e sorprendenti che solo a scuola potranno incontrare e conoscere e vivere per poi, purtroppo, dover essere costretti ad abbandonarli per i restanti 100 anni di vita: oggetti di cui difficilmente potranno riparlare confrontandosi col collega o il capoufficio o a bordo di un autobus o di un treno da pendolari del lavoro. Parliamo loro delle cose strane che si trovano solo in quello strano posto di nome Scuola, quelle cose che sembrano non aver niente a che fare con la vita e che, invece, rappresentano la vita stessa, quella autentica. Ributtiamoci a capofitto sulla Poesia! Questo non vuole assolutamente dire trascurare il versante matematico-scientifico. Stavolta lo dico lasciandomi aiutare da Alda Merini: “C’è bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi”. Riscopriamo strumenti e oggetti inutili come un libro. Se non si perde tempo a leggere, non si arriva da nessuna parte. Un libro è, sì, l’inutile prodotto di un gesto umano completamente inutile, eppure l’uomo è anche uomo e non è solo animale proprio per la sua inclinazione a occuparsi oltre che del sopravvivere anche del vivere. Un libro è umanamente utile proprio in virtù della sua naturale inutilità”.
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