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Camice e stetoscopio al chiodo per il Dottor Enrico Brilli, medico di Badia Tedalda e Sestino

Lascia dietro di sé una vita fatta di amore per le persone e di impegno costante
Dopo 44 anni di onorata professione, con i ringraziamenti da parte delle amministrazioni comunali di Badia Tedalda e Sestino, lo scorso 31 dicembre il dottor Enrico Brilli – medico di base - è andato in pensione, chiudendo per l’ultima volta la porta del suo ambulatorio. Lascia dietro di sé una vita fatta di amore per le persone e di impegno costante, talvolta lavorando dalle 6 del mattino fino alle 10 sera. Nato a Sansepolcro, da sempre vive e risiede nel Comune di Badia Tedalda. Unito in matrimonio con Nicoletta Tizzi, la coppia ha due figli gemelli: Eleonora e Nicolò; nel periodo della pandemia la figlia Eleonora dà alla luce due gemelli e il dottore Brilli è diventato anche nonno. Figlio di Ottorino, impiegato comunale e mamma Fernanda Angeli cuoca di professione. Il dottor Brilli si è laureato nel 1982 in medicina interna e chirurgia all’Università di Bologna, voleva fare lo specialista ospedaliero poi ha scelto la strada del medico di famiglia. Terminati gli studi il padre gli comunica l’arrivo della cartolina di leva che lui pensa sia uno scherzo. Ha prestato servizio militare all’Ospedale San Gallo di Firenze: terminata la naja il dottor Brilli inizia il tirocinio facendo le guardie mediche. Nel 1984 arriva il primo incarico da medico “della mutua” in località Ponte Presale nel Comune di Sestino, dove apre un ambulatorio fino al 1990; a Badia, intanto, va in pensione il dottor Giuliano Salvini, si sposta nella propria abitazione fino al 1992, per traslocare definitivamente fino alla pensione al distretto Poliambulatorio Usl8 sempre a Badia Tedalda. È stato un giorno diverso il fine anno 2024 perché la mia vita cambierà per sempre – dice il dottor Brilli che fatica a salutare i pazienti - sono passati quarantaquattro anni dall’inizio della professione, meglio dire della missione: avevo pochi pazienti, oggi sono arrivato a 1800; un numero enorme da gestire e potete immaginare le varie difficoltà. Con nostalgia è giusto lasciare il passo ai giovani, ho settant’anni e voglio fare altro. L’interesse è nato in gioventù – racconta - fin da piccolo volevo fare il medico e non ho mai avuto alcun dubbio a riguardo. Sono arrivato alla specializzazione, ma ho continuato ad essere il medico di ruolo che ho esercitato sino ad oggi. Qui sono cresciuto professionalmente, sono stato accolto a braccia aperte: avrei potuto andare altrove, ma ho scelto di rimanere. Se permettete la nota. Come Gigi Riva, il calciatore che rifiutò il contratto miliardario offerto dalla Juventus pur di rimanere nella sua Cagliari. Oggi c’è carenza di medici di base, è evidente, forse a molti è sfuggito il fatto che la mia generazione, dopo 40 anni di servizio, sarebbe andata in pensione. Così i piccoli centri sono rimasti i più colpiti rispetto alle città da questa emorragia di camici bianchi. Un giovane medico a cui vengono proposte più destinazioni, tende a scegliere una zona con una maggiore densità di popolazione: così ha più probabilità di avere pazienti e di guadagnare di più. I miei due figli non hanno voluto abbracciare lo studio della medicina e io non li ho mai forzati: fare il medico non è solo una professione, se lo fai con coscienza devi essere in grado di dare punti di riferimento a tutti. Un grande impegno sotto tutti i punti di vista. Perché il dottore non è solo il medico ‘della mutua’ come si diceva un tempo, ma un punto di riferimento, un’istituzione di cui fidarsi. Un servizio umano, fatto di ascolto e disponibilità: sono passato casa per casa, ho misurato la pressione a tutti, ho visitato a domicilio, fatto ricette, per evitare soprattutto agli anziani la sosta in ambulatorio, dalle nostre parti sei più disagiato, si richiede competenza, professionalità e impegno”. E il dottor Enrico Brilli, fra tanta commozione, prosegue nel suo racconto. “Sono stato capace di ascoltare la malattia della solitudine, della malinconia, e curare anche semplicemente con un abbraccio, una stretta di mano, un saluto. Nella mia testa, sono scorse storie di persone, emozioni, confidenze, amicizie nate nella dignità della sofferenza o nella gratitudine per un miglioramento o una guarigione. Con il malato si instaura un rapporto personale, da giovane non ci si rende conto, ma si entra a far parte della loro vita. Nelle visite servono rassicurazione e consigli - continua il dottor Brilli – soprattutto il punto che il paziente si aspetta. Le storie, la conoscenza vengono prima dei dati e dei numeri, questa è la base dei pensieri che trasmetto e credo che alla base di questa professione c’è la passione o almeno l’interesse, così senti meno il peso dei sacrifici. Il medico deve cercare di capire sempre la strada giusta da proporre, e per ogni paziente la strada è diversa perché quello che esiste veramente è l’unicità della persona che di volta in volta abbiamo davanti. Il mio è stato il mestiere della vita, del cuore, dell’impegno – aggiunge il dottor Brilli – una missione di grande responsabilità, un punto di riferimento per la mia gente perché mi sentivo medico di tutti e posso dire di esserlo stato pienamente; ho avuto a cuore il benessere dei pazienti e così anche ora che sono a riposo voglio mantenere una certa continuità. Nelle ultime settimane di lavoro ho avuto dei subbugli di pensieri, ora capisco quante sono state difficili. Sono arrivato al traguardo stanco, ma con la stessa spinta interiore con cui sono partito; forse di più. Negli ultimi anni, con il pensionamento del collega di Sestino, forse potevo fare di più: purtroppo sulla strada ho trovato il Covid-19 che ha debellato chiunque, compreso me; è stato un periodo di difficoltà, sono stato chiuso in casa per un paio di settimane ma non dimentico la grande solidarietà di tutto il paese. Anche durante il periodo della pandemia sono stato felice di fare questo lavoro, la gente aveva bisogno di tutto, un continuo via vai senza avere un momento di tregua”. L’ultimo giorno di servizio medico è stato speciale, hanno fatto tutti la fila per salutare il loro doc. “Qualcuno aveva le lacrime agli occhi e non si tratta solo dei pazienti più maturi, ma anche dei giovani che ho visto nascere. Guardando indietro, non posso che ringraziare i pazienti che lascio, consapevole di aver dato il massimo. Non ricordo nessuno che sia andato via senza un motivo preciso – conclude visibilmente commosso - e vedere tante dimostrazioni di affetto è quello che ogni medico fa del proprio lavoro una missione. È arrivato il momento di voltare pagina, di mettere da parte ricettari, timbri e firme: il meritato riposo è arrivato, mi voglio congedare con un appello: la popolazione deve sapere che se un giorno avrà bisogno di un consiglio, il dottor Brilli ci sarà sempre!”. Sui social in tanti hanno salutano e ringraziato il dottore Enrico Brilli, medico di vallata che ha sempre reso merito del suo onorato servizio.
44 ANNI DI SERVIZIO: UN MONDO CAMBIATO PIÙ VOLTE
Con il pensionamento del dottor Enrico Brilli, per le comunità di Badia Tedalda e Sestino, di fatto si chiude un capitolo importante di storia: per quello che riguarda la Valtiberina più in generale, infatti, lo possiamo considerare come l’ultimo medico “vecchio stampo” che era ancora in attività. In centri piccoli come l’Alta Valmarecchia, la figura del medico – a livello di importanza e rispetto – è di fatto al pari del parroco e del maresciallo del carabinieri. Un mondo in continua evoluzione, oggi fatto di ricordi e non solo di momenti che il dottor Brilli ha sempre affrontato con grande professionalità.
Dottor Enrico Brilli si ricorda il primo giorno di lavoro?
“Si. Di notte, il sabato e la domenica a fare le guardie mediche con turni massacranti alla Croce Bianca ad Arezzo. Con l’autista si soccorrevano i pazienti in difficoltà. Il nome del primo paziente no! Sono trascorsi tanti anni”.
La professione di medico è cambiata in meglio o peggio?
“Con la nuova tecnologia c’è molta più consapevolezza da ambo le parti, nei social trovi le informazioni che cerchi, le mani dei medici hanno perso di sensibilità, gli occhi un po’ di acutezza e i fonendoscopi rimangono spesso in tasca. Perché è sopraggiunta la grande suggestione della diagnostica strumentale, un tempo quello che diagnosticava il medico era accettato, oggi, con il paziente si discute sulla terapia da fare”.
Come è cambiata la sanità in questi 40 anni?
“Il modo di lavorare è cambiato in maniera radicale. Il rapporto stretto tra medico e paziente non è più come una volta. Telefoni, dall’altra parte della cornetta risponde un disco con la musichetta per sottofondo, ti chiede digitare un numero e si aggiungono strumenti informatici che hanno sostituito il vecchio sistema. Questo non è bene, la tecnologia deve completare un percorso ma non sostituire l’essere umano. Come medico sono rimasto un po’ alla vecchia maniera fino all’ultimo giorno; ho sempre risposto al telefono, ho ricevuto in ambulatorio senza appuntamento, ho visitato i pazienti a casa. Il primo pensiero è che, se le storie e la conoscenza vengono prima dei dati alcune storie non sono contenibili in una cartella clinica, che può essere piena di numeri, di registrazioni, di diari di quanto succede. L’essere umano non è uno strumento tecnico”.
Ci sono stati giorni particolari che però ricorda con piacere e orgoglio per essere stato medico?
“Si, sono diversi e ne cito solo alcuni. Con orgoglio penso di avere salvato la vita ad alcune persone, riconosciute dalle stesse. Una in particolare è capitata qui. Un noto allevatore locale di polli trasportato dai suoi dipendenti arrivò in ambulatorio in stato di coma, aveva preso una puntura da un grosso calabrone: dovevo fare in fretta, una lotta per la sopravvivenza, serviva un intervento immediato mi allertai con tutte le cure necessarie fino all’arrivo del 118 e così il paziente si salvò. A distanza di anni ricordo con piacere i continui ringraziamenti da parte della sua famiglia. C’è poi la nevicata del 2012 a Badia Tedalda, ricordata come eccezionale: c’erano quattro metri di neve; arrivarono anche gli aiuti militari per aprire stradine e i viottoli per consegnare viveri alle persone anziane. Il paese, di fatto, in quel periodo era isolato. Mi venne a cercare un ragazzo che sua mamma aveva la febbre alta. Stava male. Per raggiungere la località mi venne a prendere con l’auto 4x4 e con quel mezzo arrivammo a pochi chilometri da casa. Ma da lì era impossibile proseguire e lo facemmo grazie ad un trattore: arrivato a casa, curai la mamma e non me ne andai finché la donna non stette meglio”.
Quali sono le difficoltà di fare il medico in zone di montagna come quella di Badia Tedalda e Sestino?
“C’è una differenza abissale rispetto ai medici di città, non dal punto professionale, ma per ragioni di logistica: anche con lunghe distanze non puoi dire di no, devi raggiungere le case sparse in ogni angolo della montagna con pioggia, ghiaccio e neve; insomma, ti devi abituare ai disagi. Oggi qualcosa è cambiato, ci sono i mezzi meccanici di trasporto che aiutano a superare le difficoltà”.
Oggi la tecnologia aiuta, si parla di telemedicina ma alla fine il contatto umano è quello che conta: pregi e difetti di fare il medico 40 anni fa e farlo oggi?
“La tecnologia è fondamentale oltre che essere un’opportunità, grazie alla telemedicina è possibile attivare una rete ospedale-medici-territorio per monitorare i pazienti, assisterli nelle malattie croniche e favorire la prevenzione. È una migliore condivisione delle informazioni. Tuttavia, però, emergono preoccupazioni etiche riguardanti la possibile riduzione dell’intervento umano e la perdita della visione del paziente; non bisogna dimenticare che servono dosi di conoscenza, abbiamo dati su un disco ma stiamo per perdere il rapporto diretto che è indispensabile per curare qualsiasi malattia”.
Si sentirebbe pronto, in caso di chiamata, ad impegnarsi per una missione all’estero?
“Non so! Serve una grossa determinazione: adesso non sono nelle condizioni giuste per farlo, poi un giorno forse mi unirò a loro; essere volontari nel programma sanitario che opera in contesti di emergenza umanitaria è un’esperienza illuminante per tutti i medici. In futuro ci penserò. Ho famiglia, nipoti parenti e amici: credo che sia arrivato il momento di stare con loro”.
Oggi in pensione, adesso che farà?
“Siccome sono anche uno specialista, potrei fare la libera professione. Di sicuro mi dedicherò di più alla famiglia e curerò i miei hobby: lo sport, la pesca, i viaggi. Mi devo abituare a mettere a fuoco le nuove vedute. Improvvisamente la mattina ti svegli e non corri più. Assapori il caffè con calma. Ti siedi, leggi, guardi fuori, parli di più con i vicini, prepari il pranzo e apparecchi: quando mai accadeva! La parola pensione non mi piace molto, crea molta amarezza, fa pensare a una vita poco produttiva”.
DAGLI AMBULATORI ALLA SECONDA CATEGORIA
Si parla di sport e di calcio in particolare perché per nove lunghi anni, dal 2009 al 2017, il dottor Enrico Brilli ha ricoperto anche il ruolo di presidente della squadra locale dell’Unione Sportiva Badia Tedalda. “È stato un bel momento, un percorso bellissimo, con una formazione meravigliosa che incantava il pubblico e non solo. Nove anni volati via come un soffio – racconta l’ex presidente - ho rilevato i giallorossi in seconda categoria, per una serie di infortuni e assenze siamo scivolati in terza. Ma l’anno successivo, senza troppi clamori e senza tante aspettative, siamo tornati a vincere il campionato e quindi di nuovo in seconda categoria, sfruttando la forza della determinazione e le capacità calcistiche degli stessi elementi che la componevano. Fin dall’inizio il gruppo giallorosso ha dimostrato di avere le idee chiare e quindi abbiamo vinto, abbiamo perso, siamo stati insieme con qualche amarezza ma anche tante gioie. La rosa del Badia Tedalda non era molto ampia in termini numerici, eravamo un gruppo ristretto ma molto affiatato al tempo stesso. Gli allenamenti si svolgevano dopo il lavoro, la sera in particolare, con tutte le condizioni meteorologiche ma ci divertivamo e i giocatori tra loro erano anche degli amici. Come squadra eravamo calcisticamente forte, spiccavano sicuramente alcune individualità, ma nel complesso eravamo un po’ tutti “bravini” e non c’erano assolutamente “fenomeni”. Le gare erano molto combattute e giocate su ottimi livelli. A noi è rimasto un po’ di rammarico per non avere osato qualche impresa ma, a dire la verità, a distanza di tanti anni forse proprio quell’esserci arrivati vicini senza poterci mettere le mani, ha regalato a quella squadra la possibilità di essere forti. L’entusiasmo era tanto – conclude il dottor Brilli - chissà in futuro se le cose cambiano in fretta e su richiesta dei ragazzi giallorossi, potrei tornare a fare di nuovo il presidente con la “P” maiuscola. Rimettere insieme un gruppo che possa giocare un bel calcio”.
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