Opinionisti Giorgio Ciofini

I miei 30 anni al Corriere

I ricordi, le amicizie, la professionalità

Print Friendly and PDF

Riassumere 30 anni di vita al “Corriere” in quattro righe, è come comprimere l’Universo nel Big Ben. Una sfida impossibile. Ci provo, per Luca Serafini che me l’ha chiesto. Già nel nome, Luca, portava un destino, da mezzo evangelista e mezzo angelo. Il suo era quello degli eroi per caso, che hanno tenuto in vita “il Corriere” fino ad oggi, appunto con eroica professionalità e dedizione. Nel suo piccolo è stata un’impresa titanica, come portare la croce, per una fede. Non faceva per me. Per questo me ne sono andato da dieci anni. Ma sono rimasti i ricordi, le amicizie, la professionalità, le tante cose belle che “il Corriere” m’ha lasciato e che sono parte di me. Potevo dire di no ad un collega e a un amico?  

Se si celebra il “Quarantennale del Corriere”, è per lui e per suoi compagni di strada, vecchi amici che non hanno abbandonato la barca nelle tempeste dell’epoca e dell’editoria. Per loro sfido anche la memoria che, a una certa età, è avversario degno del Perugia nel derby, o del Lumezzane quella volta che si giocò tra la nebbia fitta, a pescare la serie B tra i ricordi, nel tentativo di ritrovare anche un po’ di me stesso.

Al tempo, c’era ancora la prima Repubblica e Silvio, con la sua band, faceva il cantante nelle navi da crociera. Qui mi fermo perché, “al Corriere”, mi sono sempre occupato solo e appassionatamente di football. Dietro l’Arezzo è stato anche un lavoro, ma soprattutto un piacere, che si può verificare anche dalle buste paga. 

Era proprio un altro Mondo, quando il cellulare era un furgone della polizia addetto al trasporto dei carcerati, Internet abitava nella mente del diavolo e i Cavalieri correvano la Giostra del Saracino, illustrata da Dante, senza Saracini al giro per Arezzo. All’epoca si viveva, da trentenni, in una specie di Paradiso terrestre. Poi, da una costola del “Corriere dell’Umbria”, nacque il “Corriere d’Arezzo” come Eva da Adamo e, da allora, si dovette campare col sudore della fronte, ma col piacere di fare un lavoro che ti prende, che ti piace da morire, nell’epoca d’oro di Romano del Salvi e poi in quella d’argento di Federico Barbarossa da Perugia, sotto il castello dell’Innominabile.

    Fu proprio Lui, dalle amene colline di Santa Maria, a chiamare Piero Mancini (per “il Corriere” Piero della Francesca) alla presidenza dell’US e a improntare i miei anni al “Corriere”, con la Francesca di Piero e il Gigi a titolare le mie pagelle. Erano cose molto, ma molto personali, fuori dagli schemi, che non mi sono mai piaciuti e anche un po’ fuori di testa. La Francesca di Piero, già le chiamava diverse. Anche Lei, come il Luca Serafini, ascoltava la voce del destino. Io? Preso com’ero dall’Arezzo del Mancini, non me n’ero accorto. E poi dovevo guardarmi da me stesso e dalle mie pagelle.

Una volta mia moglie, rientrando da Milano, trovò la città tappezzata di volantini con su scritto: “Ciofini Boia - sarai gambizzato!” S’era ai margini degli anni di piombo e ci mancò un niente, che la Luana facesse dietrofront a riprendere il treno per Milano. Avevo dato 1 a Tovalieri, reduce da quattro, incredibili cilecche al Bentegodi e il popolo della curva pretendeva giustizia! A consolazione del mitico Tovaglia, dirò che il record in votacci non spetta a lui, ma a Floro Flores, che prese addirittura un -1, sancito dal termometro di quella freddissima giornata, con l’Arezzo a -5, se non ricordo male, per un processo al calcio nazionale, di cui l’Arezzo fu la sola vittima. Così fu ripetuto, Mancini presidente dietro le quinte del Bianchini, lo sgarbo del ’93, quando l’Arezzo fu radiato a Campionato in corso.

Non fu l’unica sventura dei miei primi sessant’anni. Da allora la vecchia gloriosa US, fu costretta a cambiare più volte la ragione sociale e, oggi, è diventata SS. M’inquieta la sigla, figlia di una radiazione e di un fallimento, che Piero (della Francesca) dipinse mirabilmente come un paio di cappelle e la Storia della Vera Croce, tra il 1992 e il 2010. Ma torniamo a noi e al quel 1985, in cui il nostro Corriere emise il primo vagito.

Proprio in quell’anno, ricorreva ben altro decennale. Al Curi avvenne il fattaccio che, in faccende di calcio, divise Arezzo e Perugia come Iran e Israele. Non c’è bisogno alcuno di rivangare ciò che successe l’11 maggio 1975, tra il Perugia di Castagner e l’Arezzo di Pinella Rossi, che lo sanno tutti. Dirò solo che io c’ero e che, quel gol di Scarpa al minuto 86, è rimasto piantato nel mio cervello com’un chiodo, che ancora non mi fa dormire. Così è per tutto il popolo amaranto, presente quell’infausto giorno nelle tribune del Curi, che ha trasmesso l’insonnia ai figli e ai nipoti.

Dieci anni dopo lo sgarbo, il “Corriere d’Arezzo” nacque con una costola perugina, per riparare a quel guasto, in nome della fratellanza e di una “cuginità” da confinanti, sia pure in regioni diverse come due mondi, che esisteva di fatto e da sempre, che accendeva le rivalità come s’accende l’amore tra cugini. Come si dice: “Non c’è cosa più divina…”  Memorabili, a tal proposito, furono i derby della seta e del cotone negli anni settanta, col Perugia del sor Mazzetti, che quasi sempre vincevano quelli del cotone.

 La vendetta al fattaccio del settantacinque, arrivò dieci anni dopo. Era esattamente il 15 giugno del 1986, ma stavolta c’eravamo da tifosi-inviati, a celebrare una doppia Festa. Ristabilimmo il pari. Per la storia era 1-1 e poteva finire lì. Invece continua anche nel terzo millennio, come una questione d’onore. Nemmeno Cosmi, capitato tra noi da Ponte San Giovanni, riuscì nell’impresa della riconciliazione. I suoi cinque anni da perugino ad Arezzo, unici e memorabili, furono un puntino perugino, che non riuscì a ricucire lo strappo nemmeno con due promozioni.

Cosmi, come Pitagora, ha dimostrato che è inutile provarci. Arezzo e Perugia possono avere in Comune solo alcune pagine del “Corriere”, che con ciò dimostra pitagoricamente la sua unicita’.

Non poteva essere che così, fino dai suoi primi vagiti, che gli abitanti ascoltarono dalle vasche di Corso Italia, alzando sbalorditi gli occhi alle finestre del secondo piano nel palazzo di Teletruria. È stato il palazzo cittadino dell’Informazione, che non per niente abitava sopra il Commercio, per dormire, del Sacchetti. Intanto quelli che passavano col naso in su’, si chiedevano: “Ma che ci fanno a’ Rezzo questi mezzi perugini?”

Di lì siamo passati a via Cavour, a piazza Risorgimento, via Marconi e via Petrarca, da emigranti della stampa, preannunciando quel che stava per succedere nel mondo, ben oltre i nostri confini e le strade del Granducato. Del resto la visione del futuro, è una delle migliori qualità dei veggenti e del giornalismo. Certo, per tutti noi, “il Corriere” è stata una scuola di vita. Poi ciascuno ha seguito le sue inclinazioni.

Io? Ho smesso di fare le pagelle, ma non ho smesso di seguire l’Arezzo dietro una passione che compie, non quarant’anni, ma sessanta. Dietro la squadra del cuore siamo fatti vecchi, ma non rincoglioniti come tanti giovani, che condividono la nostra passione per il football. 

Giorgio Ciofini
© Riproduzione riservata
19/02/2025 11:40:03

Giorgio Ciofini

Giorgio Ciofini è un giornalista laureato in lettere e filosofia, ha collaborato con Teletruria, la Nazione e il Corriere di Arezzo, è stato direttore della Biblioteca e del Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona e della Biblioteca Città di Arezzo. E' stato direttore responsabile di varie riviste con carattere culturale, politico e sportivo. Ha pubblicato il Can da l'Agli, il Can di Betto e il Can de’ Svizzeri, in collaborazione con Vittorio Beoni, la Nostra Giostra e il Palio dell'Assunto.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


Potrebbero anche interessarti:

Ultimi video:

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Bisogna essere registrati per lasciare un commento

Crea un account

Crea un nuovo account, è facile!


Registra un nuovo account

Accedi

Hai già un account? Accedi qui ora.


Accedi

0 commenti alla notizia

Commenta per primo.

Archivio Giorgio Ciofini

Via Concini esprime l’anima anarchica di Arezzo. >>>

Mezzi aretini, oppure? >>>

Tommaso Regi >>>

Epitaffio per Gigi Falasconi >>>

Ogunseye: l'ideale per l'Arezzo? >>>

Benvenuto Nicolò >>>

Mario Salmi, il rimpianto di non avere corrisposto alla sua stima >>>

Patrizio Bertelli oggi arcomprato mezz’Arezzo >>>

Via Tarlati ad Arezzo >>>

Vittorio Farsetti, teneva banco come gli svizzeri e aveva due nemici mortali: Siena e i Tedeschi. >>>