Vittorio Farsetti, teneva banco come gli svizzeri e aveva due nemici mortali: Siena e i Tedeschi.
Fu grande amico di Tonino Morelli e di Carlino Spigaglia
Concittadino indimenticabile, Vittorio Farsetti teneva banco come gli svizzeri e aveva due nemici mortali: Siena e i Tedeschi.
Vittorio Farsetti
Alto quant’un cipresso del Praticino piantato ne’la storia de’ Rezzo, aguzzo com’ il campanile del domo, coi tegolini neri tirati a l’indietro, la lingua rovente e ‘l sorriso complice di chi la sa lunga, se n’è andato da tant’anni, troppo presto. Uno come Vittorio Farsetti dovrebb’essere eterno, per far campare meglio i concittadini e l’amici. Era di quelli che, quando se ne vanno, mancano a tutti e non si ristampano neanche a’rvisolare la su’ mama e ‘l su’ babbo. Per lui, c’erano solo Arezzo e Culcidrone. Quale nativo e residente, aveva respirato l’aria che ci modella tutti, ma col Farsetti ciaveva un po’ più ossigeno, ‘l gas naturale che fa funzionare il cervello. Era uno senza peli su’la lingua, caustica come la soda con cui, ‘n tempo, le donne facevano il bucato e ‘rripetibile com’un’annata di Brunello, anche se unn’ è il vino giusto, ‘n quanto prodotto nel senese. Patito anche della Juve, aveva due nemici mortali: Siena e i Tedeschi. “Se va a male una partita di fichi secchi, chiudon bottega!” - era solito argomentare dei nostri cugini che, ai tempi ‘n cui ‘Rezzo vantava la Lebole, l’Uno A Erre e milletrecento aziende orafe, avevano ‘l panforte. Se c’era di mezzo il Siena, al vecchio stadio Mancini, al nuovo Comunale. o per il Corso, col Vittorio Farsetti erano giostre. che unn’avevon niente da invidiare a quelle del Toppo. Rappresentante di commercio, praticamente aveva sempre la machina sott’al culo, ma non ce la faceva a star lontano dalla su’ città. Senza quest’aria, non poteva manc’addormentasse. Una volta che tornava da Siena, ‘ncontrò uno fermo co’ la valigia lungo la via, come s’aspettasse la corriera per chissàndo. Il Farsetti si fermò e lo fece acomodare davanti, fin’a quando il passeggero unn’aprì bocca. Appena lo sentì parlare deutch inchiodò e l’intimò, co’na faccia da ufficiale delle SS: “Scendi al volo, pezzo di merda!” Vedeva i tedeschi com’un cazzotto ‘n un occhio dai tempi della guerra e, quel giorno, se rifece. Vittorio non dimenticava facilmente i torti, in certe cose era leggermente talebano, ma sapeva guardare dall’alto le sue passioni e ci scherzava sopra. con quell’ironia che sa prendersi anche ‘n giro. Fu grande amico di Tonino Morelli e di Carlino Spigaglia, l’ultimogenito d’una storica dinastia propietaria del bar di fronte a’li Svizzeri, nel cantone che da inizio a’la città nova e s’afaccia a quella vecchia dai Bastioni di Sa’Spirito e dal Corso, ch’allora cominciava dal banchino della Riccela. Era il più ricercato da tutti l’aretini, ch’avevano da impiegare amabilmente il tempo. Per questo, dovunque si trovava, da’lo Spigaglia, o al bar Juventus, al Canto alla Croce, o da l’edicolante di Dio, faceva capannello. In questo senso, fu anche uno dei promoter del locale, ‘n do’ lo trascinava la terza delle sue tre passioni. Romolo e Gilberto, i due gestori d’epoca del bar Juventus, gli devono buona parte delle loro entrate, quando l’anni erano ancora verdi e l’aperitivi si sprecavano come le bischerate.
Giorgio Ciofini
Giorgio Ciofini è un giornalista laureato in lettere e filosofia, ha collaborato con Teletruria, la Nazione e il Corriere di Arezzo, è stato direttore della Biblioteca e del Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona e della Biblioteca Città di Arezzo. E' stato direttore responsabile di varie riviste con carattere culturale, politico e sportivo. Ha pubblicato il Can da l'Agli, il Can di Betto e il Can de’ Svizzeri, in collaborazione con Vittorio Beoni, la Nostra Giostra e il Palio dell'Assunto.
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