Opinionisti Giulia Gambacci

Fabrizio De Andre’, piu’ di un semplice genio della canzone

E' stato e rimarrà senza dubbio uno fra i più grandi di sempre

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Per gran parte della critica è stato il più grande cantautore italiano di tutti i tempi. E francamente ci sentiamo di appoggiare chi la pensa così. In ogni caso, è stato e rimarrà senza dubbio uno fra i più grandi di sempre: si tratta di Fabrizio De Andrè, che ci ha lasciati a inizio 1999, a 59 anni non ancora compiuti. Indimenticabili le sue canzoni, che hanno fatto di lui un autentico “poeta canoro”: le storie raccontate in strofe da vero giocoliere dialettico dotato di ironia dissacrante e combinate sia con le musiche che con il suo inconfondibile timbro di voce lo rendono unico nel panorama della canzone italiana. Persino un grande della poesia come Mario Luzi gli rivolse grandi e meritati elogi. Ed è difficile, per non dire impossibile, dimenticare i suoi pezzi forti, che tutti conoscono: La canzone di Marinella, Bocca di Rosa, La Città Vecchia, Volta la Carta e La Canzone dell’Amore Perduto, per non parlare di Don Rafaè, tanto per ricordare quelle che ancora fanno venire la pelle d’oca al solo udire le prime note dell’introduzione. Tanto di cappello, quindi, a questo straordinario interprete che seppe emergere negli anni il cui il cantautore impegnato riusciva a farsi largo dopo che negli anni ’60 il cantante melodico dell’amore era il più gettonato. Basti pensare che in tutta Italia esistono vie, piazze, parchi, teatri, biblioteche e scuole intitolati a De Andrè.     

 

ESPONENTE DELLA SCUOLA GENOVESE E DI ROTTURA VERSO LE CONVENZIONI

Faber – così lo chiamava l’amico e concittadino Paolo Villaggio, grande comico – era nato a Genova il 18 febbraio 1940: oggi sarebbe stato quindi un baldo 80enne. Faber perchè aveva la predilezione per i pastelli e le matite della Faber-Castell e ciò si combinava bene anche con il suo nome per questione di assonanza. Assieme a Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi e Luigi Tenco, De Andrè appartiene alla “scuola genovese”, che ha lasciato una bella impronta nella musica leggera italiana. Tutti nomi forti, ognuno dei quali ha fatto a suo modo epoca, non dimenticando che lui – nella sua carriera – ha collaborato con Mina, Nicola Piovani, la Premiata Forneria Marconi, Ivano Fossati, Mauro Pagani, Massimo Bubola, Alvaro Mutis, Fernanda Pivano e Francesco De Gregori. A influenzarlo sono stati invece Bob Dylan e Leonard Cohen, ma in particolare la scuola degli “chansonnier” francesi, a cominciare da Georges Brassens. Gli emarginati, i ribelli e le prostitute sono gli argomenti dei suoi testi, che diventano vere e proprie poesie inserite in antologie scolastiche di letteratura già dai primi anni Settanta. Poesie cantate che gli sono valse la vendita di 65 milioni di dischi in carriera, ma anche una serie di riconoscimenti da parte del Club Tenco: sei targhe e un premio Tenco, più un premio Lunezia per il valore musical-letterario del brano “Smisurata preghiera” del 1997. Allo stesso tempo, però, è stato fra coloro che hanno valorizzato la lingua ligure, ma nei suoi pezzi vi sono anche lo slang gallurese e napoletano. Sicuramente, De Andrè è stato un personaggio di rottura nei confronti di quelli che erano i canoni della canzone italiana e lo ha fatto con le sue ballate e con i suoi personaggi. Il suo canzoniere universale – si legge testualmente - attinge alle fonti più disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'Antologia di Spoon River ai canti dei pastori sardi, da Cecco Angiolieri ai Vangeli apocrifi, dai "Fiori del male" di Baudelaire al Fellini dei "Vitelloni". Temi che negli anni si sono accompagnati a un'evoluzione musicale intelligente, mai incline alle facili mode e ai compromessi. La sua verve poetica era funzionale all’abbattimento delle convenzioni, per cui - oltre alle categorie di persone ricordate in precedenza - nelle sue canzoni sono finiti i “benpensanti”, i farisei, i boia, i giudici forcaioli e i re cialtroni di ogni tempo. La lotta contro l’arroganza del potere era uno dei suoi messaggi forti e con i suoi brani era in grado di pizzicare davvero.  

 

UN RIBELLE IN COPPIA CON L’AMICO PAOLO VILLAGGIO

Di famiglia comunque benestante (il padre diverrà vicesindaco di Genova e amministratore delegato della Eridania, la madre era figlia di produttori vinicoli), Fabrizio De Andrè vive da sfollato di guerra nell’Astigiano; fin dalle scuole medie, emerge il suo comportamento non convenzionale e fuori dagli schemi che lo porta a scontrarsi spesso con i suoi professori e allora viene trasferito nella scuola dei Gesuiti “Arecco”, dove subisce un tentativo di molestia sessuale proprio da parte di un gesuita, che verrà poi allontanato dall’istituto. Al dopoguerra risale anche il primo incontro con Paolo Villaggio a Cortina d’Ampezzo; anche Villaggio è un tipo inquieto, che però rispetto a De Andrè non dice parolacce e allora gli ricorda che l’errore più grave sarebbe stato quello di pronunciarle solo per stare al centro dell’attenzione. Anche al liceo classico, il giovane De Andrè si fa subito notare per il suo carattere: trasgressivo con i docenti e cordiale con i compagni di classe. Ha una sorta di conto personale con il professore di lettere, che non gli dà mai la sufficienza e gli contesta i temi; all’università di Genova, sceglie dapprima la facoltà di Medicina prima e di Giurisprudenza poi, ma i primi contratti discografici lo convincono a lasciare gli studi ad appena 6 esami dalla laurea e a dedicarsi alla musica. Il fratello maggiore di Fabrizio, Mauro (avvocato di successo), sarebbe divenuto uno dei suoi fan più affezionati e critici allo stesso tempo. Georges Brassens e le sue canzoni esercitano un influsso determinante in De Andrè, che negli anni ’50 conduce una vita sregolata e in contrasto con le consuetudini della sua famiglia; a inizio anni ’60, ha per compagna una prostituta di via Prè e insieme all’amico Paolo Villaggio lavora saltuariamente, imbarcandosi in estate sulle navi da crociera per le feste di bordo. Due creativi senza saperlo – ebbe a dire Villaggio – che conducevano una vita dissennata, a caccia di amici terribili”. Oltre al cantautore Brassens, anche le opere di Michail Bakunin, Errico Malatesta e di altri scrittori libertari e anarchici lo affascinano, fino ad arrivare a “L’Unico e la sua proprietà” del filosofo tedesco Max Stirner; da quel momento in poi, De Andrè si definirà anarco-individualista e nel 1957 si iscrive alla Federazione Anarchica Italiana di Carrara. Nel 1960, Fabrizio De Andrè e Clelia Petracchi scrivono insieme il testo di quella che lui ha sempre considerato la sua prima canzone: “La ballata del Michè”, ispirata dalla canzone esistenzialista francese.

 

VICEPRESIDE PER NECESSITA’ E CANTAUTORE IN ASCESA

Nel ’61, De Andrè conosce Enrica Rignon detta “Puny”, più grande di lui di quasi sette anni, che rimane incinta di Fabrizio e diviene la sua prima moglie, nonché la madre di Cristiano, che nasce nel 1962. I due si separeranno a metà degli anni ’70. Dopo la nascita del figlio, Fabrizio – ancora 22enne – deve trovare un lavoro fisso per mantenere la famiglia e allora trova impiego come vicepreside in un istituto scolastico privato di proprietà del padre. Risale all’ottobre 1961 l’uscita del suo primo 45 giri con copertina forata: è della Karim e il disco contiene due brani, i cui titoli sono “Nuvole barocche” e dall’altro lato “E fu la notte”. Nel maggio del 1963, l’esordio televisivo di Fabrizio De Andrè nel programma “Rendez-Vous”, condotto da Line Renaud e trasmesso dall’allora “primo canale”; De Andrè canta “Il fannullone”. Nel 1964 – anno citato dallo stesso cantautore – De Andrè avrebbe sostenuto l’esame di ammissione come autore della parte letteraria della Siae di Roma al fine di poter depositare le canzoni a proprio nome, anche se in realtà già nel ’61 avrebbe firmato i testi e le musiche. Negli anni ’60, dopo aver lasciato la scuola, De Andrè diventa sempre più figura riservata e musicista colto, che nei suoi brani mette tendenze e ispirazioni: le tematiche sociali sono trattate con crudezza e allo stesso tempo con metafore poetiche, ma anche con un linguaggio inconfondibile e semplice, perché tutti lo possano recepire. È il 1964 quando incide uno dei suoi grandi successi: “La canzone di Marinella”, tratta da un fatto di cronaca; gli dà la giusta notorietà con il successivo contributo di Mina, che la canterà tre anni dopo, ma i 45 giri decisivi per il suo decollo sono quelli del 1966: “La canzone dell’amore perduto” e “Amore che vieni, amore che vai”. I suoi dischi sono presenti nei negozi di quasi tutte le grandi città e i suoi discografici raccolgono la produzione Karim nel 33 giri dal titolo “Tutto Fabrizio De Andrè” a fine ’66; seguono altre raccolte quali ad esempio “Volume I”, che contiene “Preghiera in gennaio”, scritta poco dopo la morte dell’amico Luigi Tenco, morto suicida (questa la versione da sempre più nota) nel 1967 al Festival di Sanremo. De Andrè canta una preghiera a Dio e concede a Tenco un posto in Paradiso con gli altri suicidi, che invece la Chiesa ufficiale condannava. Il periodo a cavallo fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘70 è uno fra i più attivi per lui, che inizia la serie dei “concept album” con “Tutti morimmo a stento”, nel quale emergono le problematiche esistenzialiste. Insieme a un altro amico, Riccardo Mannerini, De Andrè aveva scritto il “Cantico dei drogati”; a Mannerini, De Andrè gli riconosce di avergli insegnato che essere intelligenti non significa accumulare nozioni ma saperle selezionare, separando quelle utili da quelle disutili. A “Tutti morimmo a stento” fa seguito “La buona novella”, nella quale emerge l’aspetto umano di Gesù rispetto alla sacralità e alla verità assoluta che per lo stesso De Andrè la Chiesa si sarebbe inventata per esercitare il suo potere. Lui stesso ha considerato “La buona novella” come il suo disco migliore, poiché quello “più ben scritto e meglio riuscito”, che nel 2010 verrà di nuovo inciso dalla Premiata Forneria Marconi. Nel 1972, quando la Produttori Associati - senza consultarlo minimamente l'artista, lo iscrive al Festivalbar con il brano “Un chimico” (pubblicato su 45 giri), De André apprende la notizia dai giornali e convoca una conferenza stampa in cui dichiara che la casa discografica lo ha trattato come un “ortaggio”. Dopo l'intervento del patron della manifestazione, Vittorio Salvietti, si raggiunge un compromesso: la canzone viene inserita nei juke-box, come vuole il regolamento, ma il cantautore non si esibirà durante la finale di Verona nemmeno in caso di vittoria. L'album successivo è, nel 1973, “Storia di un impiegato”, un concept album in cui Giuseppe Bentivoglo, autore dei testi insieme a De André, racconta la vicenda di un impiegato durante il maggio de '68l; il disco, a sfondo fortemente politico e viene attaccato dalla stampa musicale militante e vicina al movimento studentesco. “Storia di un impiegato” coincide con un periodo di crisi professionale e anche personale (fine del matrimonio con Puny e nuova relazione con una ragazza, Roberta, che andrà avanti per un paio di anni, fino al 1973.

 

LA FINE DEL PRIMO MATRIMONIO, L’INCONTRO CON DORI GHEZZI E LE ESIBIZIONI IN PUBBLICO

La pubblicazione di un nuovo disco, intitolato “Canzoni”, dà il via alla collaborazione con Francesco De Gregori e durante le registrazioni c’è a fianco una cantante che sta a sua volta registrando da solista: è Dori Ghezzi, che in quel periodo forma un sodalizio canoro con Wess. Per Fabrizio De Andrà inizia la relazione che durerà fino alla fine e che porta al matrimonio con Dori Ghezzi nel dicembre del 1989, dopo 15 anni di convivenza. Non solo: in quel periodo De Andrè sta tentando di vincere la sua timidezza nell’esibirsi in pubblico, al contrario della determinazione del piglio da perfezionista che lo accompagnano quando lavora in studio. L’impresario Sergio Bernardini gli fa rompere il ghiaccio nel marzo del 1976 alla Bussola, noto locale che si trova a Marina di Pietrasanta. L’impasse da palcoscenico è dunque superato, anche se poi gli ambienti dell' Autonomia e della Sinistra extraparlamentare, che già lo avevano attaccato per “Storia di un impiegato”, lo contestano ora anche per le esibizioni dal vivo, alle quali il cantautore impegnato sarebbe dovuto ricorrere perché costretto dai cali di vendita dei dischi. Ma De Andrè non si scoraggia: a volta scende pure dal palco per parlare con gli stessi Autonomi e il pubblico si ritrova spesso diviso, come durante il concerto del 1979 a Roma. Un altro successo, ovvero “Rimini” (è il 1978) segna l'inizio della lunga collaborazione con il cantautore veronese Massimo Bubola. È un De André con una musicalità più distesa: i suoi brani trattano l'attualità, così come tematiche sociali ed esistenziali. Nell'album sono presenti anche le prime sperimentazioni dei suoni della musica etnica, con la filastrocca “Volta la faccia” e con "Zinchiltaggia" , cantata interamente in gallurese. Anche il celebre “Andrea” (ricordate il celebre “Andrea s’è perso”), a sfondo antimilitarista, è uno dei brani più popolari dell'intera produzione di De André e il suo coautore, Bubola, continua a proporlo dal vivo durante i suoi concerti. In più di un'occasione l'artista genovese – ad esempio nel 1992, al Teatro Smeraldo  di Milano – ha eseguito il brano a luci accese, proprio a simboleggiare come l'omosessualità non debba essere motivo di vergogna Nel 1978, la Premiata Forneria Marconi idea e realizza nuovi arrangiamenti di alcuni dei brani più significativi del cantautore genovese, proponendo a De André un tour insieme che avrà successo. Alcuni degli arrangiamenti realizzati dalla PFM saranno poi utilizzati dal cantautore fino alla fine della sua carriera, come nei casi di Bocca di Rosa, La canzone di Marinella, Amico fragile, Il pescatore. Nei casi di Volta la carta o Zirichiltaggia dei tour Anime Salve e M'innamoravo di tutto (gli ultimi due tour prima dell'ultimo in assoluto, interrotto) De André torna agli arrangiamenti dell'album in studio. Nella seconda metà degli anni settanta, in previsione della nascita della figlia Luisa Vittoria (detta Luvi), De Andrè si trasferisce nella tenuta sarda dell'Agnata, a due passi da Tempio Pausania, insieme a Dori Ghezzi.

 

IL RAPIMENTO E LA DOMANDA DI GRAZIA PER UNO DEI SEQUESTRATORI

Luvi nasce nel 1977 ed è ancora molto piccola quando il 27 agosto 1979 padre e madre vengono rapiti dall’anonima sequestri sarda e tenuti prigionieri per quattro mesi: Dori Ghezzi viene liberata nella tarda serata del 21 dicembre e Fabrizio De Andrè a distanza di poche ore, quando è già entrato il giorno 22. Il riscatto pagato è stato di 550 milioni di lire. Notizie false e illazioni escono in quel periodo: si parla di coinvolgimento delle Brigate Rosse come di allontanamento per motivi personali, oppure a sfondo politico. Nel raccontare i quattro mesi di rapimento, De Andrè sottolinea come questa esperienza sia stata poi non traumatica, fino a esprimere parole di pietà per i carcerieri, che comunque a lui e a Dori Ghezzi non li avrebbero trattati assolutamente male. L'esperienza del sequestro si aggiunge al già consolidato contatto con la realtà e con la vita della gente sarda e diventa ispirazione per la realizzazione di diverse canzoni, scritte ancora con Bubola e raccolte in un album senza titolo, pubblicato nel 1961, comunemente conosciuto come “L’indiano” dall'immagine di copertina che raffigura un nativo americano. Al processo, De André conferma il perdono per i suoi carcerieri (circa dieci), ma non per i mandanti perché persone economicamente agiate. Il cantautore e suo padre non si costituiscono nemmeno parte civile contro gli autori materiali del sequestro, perché a loro interessa puntare l’indice contro i soli capi della banda. Nel 1991, De André è anche tra i firmatari della domanda di grazia rivolta al Presidente della Repubblica, nei confronti di uno dei sequestratori, un pastore sardo condannato a 25 anni di prigione.

 

GLI INTENSI ANNI ‘80

Nel 1980, De André incide il 45 giri dal titolo “Una storia sbagliata”, i cui brani sono entrambi scritti con Bubola. “Una storia sbagliata” rievoca la tragica vicenda di Pier Paolo Pasolini. “È una canzone su commissione, forse l'unica che mi è stata commissionata”, aveva detto. Nel 1982, fonda una propria etichetta discografica: la Fado (acronimo derivato dalle iniziali del suo nome e da quelle di Dori Ghezzi), con cui pubblicherà dischi di Massimo Bubola, dei Tempi Duri (la band del figlio Cristiano) e della stessa Ghezzi. Nel 1985, scrive insieme a Roberto Ferri il testo di “Faccia di cane” per i New Trolls, con cui partecipa come autore al Festival di Sanremo 1985 e nel 1988 collabora con Ivano Fossati, cantando nella canzone “Questi posti davanti al mare” insieme a Francesco De Gregori e allo stesso Fossati. Nel 1989 si celebra il matrimonio fra Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi (testimone di nozze è Beppe Grillo) e nel ’90 lavora all’album “Le nuvole”, il cui titolo fa riferimento ai potenti che oscurano il sole. Mauro Pagani e Ivano Fossati sono i collaboratori, così come Massimo Bubola nella stesura del testo di “Don Rafaè” - che gli vale le congratulazioni di Raffaele Cutolo - e Francesco Baccini per “Ottocento”. Fossati sarà presente, inoltre, nella realizzazione del concept album “Anime salve”,  pubblicato nel 1996, duettando con De André nel brano omonimo. Incentrato sul tema della solitudine, è anche l'ultimo album in studio del cantautore e viene considerato uno dei suoi capolavori, al pari dei suoi dischi più celebrati del passato, nonché come il testamento musicale ed etico di De Andrè. Luigi Manconi, che aveva a suo tempo criticato “Storia di un impiegato”, ha scritto che considera “Anime salve”, assieme ai primi album degli anni '60, come l'opera forse migliore di De Andrè. Un viaggio ideale nella solitudine e nell'emarginazione, sia quella dei generici "ultimi", sia quella dei rom, del marinaio, della transessuale e dell'artista stesso; allo stesso tempo rappresenta un attacco alle "maggioranze" che opprimono le minoranze, al razzismo e all'indifferenza della società di fine millennio. Tante altre collaborazioni negli anni a venire e poi nel ’97 la consegna del Premio Lunezia da parte di Fernanda Pivano per il valore letterario di “Smisurata preghiera” e definisce De Andrè come "il più grande poeta in assoluto degli ultimi cinquant'anni in Italia", "quel dolce menestrello che per primo ci ha fatto le sue proposte di pacifismo, di non violenza, di anticonformismo", aggiungendo che "sempre di più sarebbe necessario che, invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano”. Sempre nel 1997 esce “Mi innamoro di tutto”, una raccolta di live e studio in cui duetta con Mina ne “La canzone di Marinella” e che sarà l'ultima pubblicazione della sua vita: la copertina è una delle più celebri e riprodotte immagini artistiche di De André, una foto scattata dalla moglie Dori Ghezzi raffigurante il cantautore con la sigaretta in mano, ripreso quasi dall'alto.

 

ESTATE 1998: LA SCOPERTA DELLA MALATTIA

E si arriva gli ultimi mesi di vita: il 24 agosto 1998, il suo tour fa tappa a Saint-Vincent, ma fin dalle prove non riesce a imbracciare la chitarra come vorrebbe; avverte inoltre un forte dolore a torace e schiena. Lo spettacolo salta e gli esami clinici ai quali viene sottoposto ad Aosta evidenziano un carcinoma polmonare: fine dei concerti, la malattia è in stato di avanzamento e le speranze di salvezza sono ridotte a zero. Esce dall’ospedale solo il giorno di Natale per trascorrerlo in famiglia, poi muore alle 2.30 dell’11 gennaio 1999 all’istituto dei tumori di Milano. I funerali si tengono il 13 gennaio nella basilica di Santa Maria Assunta di Cargnano a Genova: oltre diecimila le persone presenti, fra i quali estimatori, amici ed esponenti dello spettacolo, della politica e della cultura. Nella bara, a fargli compagnia, un pacchetto di sigarette, una sciarpa del Genoa (la squadra di cui era tifoso), un naso da clown e un drappo blu. Il suo corpo è stato cremato e le ceneri disperse al largo di Genova, anche se il nome è ricordato nella tomba di famiglia al cimitero di Staglieno.

Redazione
© Riproduzione riservata
23/04/2020 10:00:01

Giulia Gambacci

Giulia Gambacci - Laureata presso l’Università degli Studi di Siena in Scienze dell’Educazione e della Formazione. Ama i bambini e stare insieme a loro, contribuendo alla loro formazione ed educazione. Persona curiosa e determinata crede che “se si vuole fare una cosa la si fa, non ci sono persone meno intelligenti di altre, basta trovare ognuno la propria strada”. Nel tempo libero, oltre a viaggiare e fare lunghe camminate in contatto con la natura, ama la musica e cucinare.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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