Perché a Sansepolcro chiudono le attività commerciali?

Perché è cambiata l’economia e la percezione degli acquisti
Perché a Sansepolcro chiudono le attività commerciali? Questa domanda è stata posta su Facebook e ha ricevuto varie risposte. Vorrei qui dare le mie, più di una, in vero.
Perché è cambiata l’economia e la percezione degli acquisti: giorni fa ho fatto un giro tra i centri commerciali della riviera, ho notato che si sono alzati i prezzi del food e abbassati i prezzi dell’abbigliamento. Costi davvero impensabili, sicuramente abbigliamento prodotto nei peggiori bassifondi di chissà quale paese ultra povero: una camicia a 9 €, belle tra l’altro, in una nota catena di abbigliamento; in Italia non ci si faceva neanche un colletto, figuriamoci portarla in una vetrina. Poi la crisi del “capospalla”, sembra non si acquistino più cappotti e giacche, neanche cravatte, credo che non si investa più un granché negli abiti da “cerimonia” ovvero per eventi particolari come comunioni, cresime e matrimoni: se diminuiscono i figli è anche perché diminuiscono le famiglie tradizionali e quindi le cerimonie ad essi legate.
Gli stipendi sono diminuiti, e non di poco, per quanto riguarda il potere di acquisto: una società che invecchia ha più spese sociali (sanità e pensioni), meno produttività, un debito pubblico esorbitante, bassa scolarizzazione e analfabetismo funzionale, quindi stipendi bassi che non vedo come potrebbero aumentare. Questo genera una catena negativa: meno spesa, minore propensione agli acquisti, quindi minori introiti commerciali, minori rendite immobiliari, ecc. Poi la società è onorevolmente e logicamente viziata da un precedente benessere che non torna e non tornerà.
Guerre e tensioni internazionali generano pensieri e timori, quindi minore propensione all’acquisto, portano a chiudersi in se stessi e nelle proprie faccende domestiche. Qui trionfa la tecnologia: ottime tv a costi inferiori, computer e banda larga, piattaforme on line di film e serie tv come mai visto prima, social e socializzazione elettronica: aumentano i “device” e quindi le occasioni per stare in casa. Non so perché un tempo i genitori faticavano a tenere i figli a casa e oggi “tribolano” per farli uscire, ma così è. Ai miei tempi (ahimè) si usciva per il corso per vedere altra gente, non ci si dava neppure un appuntamento tanto ci si incontrava fuori. Oggi sembra impensabile.
Commercio on line, di conseguenza si risparmia e si compra dalla Cina (forse) tramite piattaforme di acquisto, soprattutto nell’abbigliamento ma anche in tantissimi settori, pure molto specialistici. Ma non solo è più semplice ed economico (non devi neppure uscire e puoi rendere quello che non ti convince) ma anche più efficiente e pieno di scelte diverse che nessun negozio potrà mai offrire. Questo è un fattore decisivo e letale per i commercio, on line c’è di tutto e di più, soprattutto c’è la consapevolezza dei prezzi, la critica e le caratteristiche dei prodotti (altrimenti a che servono gli influencer?). Un tempo si aspettavano le fiere di mezza quaresima per gli acquisti un po’ più esotici. Ah, dimenticavo: la distribuzione organizzata (i supermercati) portano via una marea di soldi dall’economia locale, forse più che il commercio on line, poiché si tratta del cibo quotidiano, rendendo “solo” gli stipendi per chi ci lavora, e forse reddito per le aziende produttrici (poca roba a livello locale, mi sembra). Ah, dimenticavo: anche le bancarelle del mercato portano i soldi altrove, faranno colore e vivacità, i bar ne trarranno profitto per il movimento di gente che genera (e al tempo del commercio on line è già una bella cosa) ma la sostanza non cambia; quando leggo entusiasmi per i mercati, mercatini e fiere mi domando sempre se ci si è ragionato bene. Ovviamente la comunità incassa gli affitti del posto commerciale e fa tanta festa e ambiente. Altra cosa sono i mercatini di Natale di Arezzo, ovvero quelle manifestazioni che portano “da fuori” i clienti e quindi il denaro che ivi si spende.
Il turismo? Certo è una buona cosa, anzi buonissima poiché porta denaro esterno nella comunità. Mi fanno un po’ storcere il naso coloro che si lamentano dell’” overtourism”, il fatto che il 70% dei turisti si concentrino nell’1% del territorio nazionale è un problema di marketing dei territori stessi, ma dei turisti si lamenta di solito chi ne ha molti con le conseguenze (anche molto positive) economiche che questo porta. Certo che se devi sostituire il commercio tradizionale con i pinocchietti cinesi o paccottiglia da souvenir, pizza al taglio...
L’età dei commercianti: questo è un grosso problema. Se un commerciate va in pensione e vuol terminare la sua “lotta” quotidiana con la clientela o vende l’attività, o la passa ai figli e parenti o chiude. In un mercato asfittico la terza ipotesi è la più plausibile. Quanti giovani sono disposti a farsi carico di un’attività commerciale anche se con decenni di tradizione alle spalle?
Tasse e burocrazia: un’attività commerciale necessita di una partita iva e di un commercialista, regole e regolamenti, adempimenti vari. Insomma un autentico mal di testa in un paese che ti vede come evasore a prescindere.
Eppure credo che ancora oggi l’Italia sia il paese con più esercizi commerciali in Europa. Un negozio è luce pubblica e attrattività dei centri storici, le vetrine sono parte del nostro piacere di camminare, il palazzo e la facciata vengono tenuti in piedi anche dagli esercizi commerciali, è un presidio del territorio. Ma nel breve termine non durerà, troppe cause concorrono alla chiusura dei negozi, troppe offerte speciali e centri commerciali, troppe comodità ci inducono a pensare di acquistare di domenica, o dal divano, e poi “dove parcheggio”? Quanti preferiscono l’insalata da lavare e tagliare rispetto a quella confezionata e pronta? In tutta Italia chiudono i negozi tradizionali, anche di grandissima tradizione, quindi non faremo certo eccezione; i tempi cambiano e oggi il vento soffia per la chiusura, magari arriverà una nuova moda e le cose si invertiranno ma i tempi d’oro, temo, siano finiti. Una volta investivi in un negozio, cercavi la tua clientela e la individuavi a seconda delle esigenze locali; il Genius Loci era parte dell’attività, assumevi magari del personale, pagai un affitto e poi incassavi “la licenza”, una sorta di TFR dopo una vita di lavoro. Erano i tempi in cui c’erano i negozi di alimentari sparsi un po’ ovunque, dove andavi da Tizio a prendere questo “che è il migliore”, o da Caio. Sono stati i primi a chiudere, per comodità e risparmio ci siamo omologati al cibo della Grande Distribuzione. Poi è stato il turno dei negozi di abbigliamento, di recente sono stato nel centro di Roma, ho fatto chilometri su chilometri a piedi e di negozi chiusi ne ho visti molti. Invecchiando la popolazione diminuiscono anche parrucchieri e profumerie. Magari nascono centri benessere, estetiste e centri tatuaggi ma dubito che durino cent’anni. Poi in generale la “gente” va dov’è la “gente”, quindi il calo è vistoso e progressivo. Il commercio soffre e siamo noi, tutti noi, che ne stiamo decretando la progressiva chiusura. Non ne vedo la cura.

Marco Cestelli
MARCO CESTELLI: Persona molto conosciuta a Sansepolcro, studi economici e commerciali a Milano, manager e imprenditore, scrittore, conferenziere e comunicatore, ha viaggiato in molte parti del mondo, ha sperimentato innovazioni e il valore della cultura. Legatissimo alla sua terra ama l’arte e la storia, la geopolitica e la cultura europea. Sa di non sapere mai abbastanza.
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