Centro Diurno di Bibbiena ancora chiuso: quando le fragilità diventano invisibili

Lista di Comunità: le famiglie non possono più contare su un servizio essenziale
A luglio 2025 il Centro Diurno “Isola che non c’è” di Bibbiena è ancora chiuso. Da oltre un anno ormai, le famiglie non possono più contare su un servizio essenziale, pensato per garantire quotidianità, socializzazione, autonomia e sollievo a persone con disabilità e ai loro cari.
Abbiamo seguito questa vicenda passo dopo passo: con interrogazioni e richieste di accesso agli atti. Abbiamo più volte espresso dubbi, già dalla campagna elettorale, sulla scelta della nuova sede – l’ex Tuttosicurezza in zona Stazione – un edificio privo di aree verdi, affacciato su una strada trafficata, e che si è rivelato presto inadatto anche dal punto di vista tecnico, come confermato dal verbale della commissione multidisciplinare del 17 gennaio.
Il Comune, nel frattempo, ha risparmiato circa 24.000 euro sul canone di locazione in questi 12 mesi. Ma questo risparmio non si è tradotto in servizi aggiuntivi, né tantomeno in una soluzione tampone per garantire una maggiore continuità assistenziale. La cooperativa Koinè ha fatto il possibile, organizzando due giornate di attività in esterna per ogni utente, mantenendo le terapie occupazionali per tre persone. Ma è evidente che non basta. E che non può bastare.
In questi mesi, la parte politica si è trincerata dietro la responsabilità tecnica, ricordandoci nello scorso consiglio che si tratta di un servizio “non obbligatorio”. Ma proprio qui sta il punto: è nella gestione di ciò che non è obbligatorio che si misura la volontà politica, la cura, la scelta di chi tutelare. E questo servizio era stato fortemente voluto dalla stessa amministrazione, quando decise di riportarlo sotto la competenza e nel territorio del Comune.
Oggi, quella stessa amministrazione che ha fortemente voluto riportare il servizio sotto la gestione comunale, sembra disinteressarsi delle conseguenze delle proprie scelte. Eppure, se l’esito di un bando non risponde ai bisogni reali della comunità, la politica ha il dovere di assumersi la responsabilità dell’indirizzo dato: può – e deve – fare un passo indietro, correggere, cambiare rotta. Non può semplicemente lavarsene le mani.
In Consiglio comunale abbiamo evidenziato per tempo le incongruenze tra i requisiti richiesti dal bando e le reali necessità di un servizio così delicato. Alcuni dei dubbi che avevamo sollevato – come la collocazione della struttura lungo una strada trafficata e la mancanza di spazi esterni – sono stati confermati dalla stessa commissione multidisciplinare, che ha indicato la necessità di rivedere i sistemi di apertura delle uscite di emergenza in funzione della tipologia di utenti e della posizione dell’immobile.
Altri problemi, invece, come l’insufficienza dei servizi igienici accessibili e la mancanza di riscaldamento in alcuni di essi, erano già evidenti nei dati dichiarati in fase di candidatura: eppure nessuno, in fase di valutazione, ha ritenuto di porvi rimedio.
Apprendiamo inoltre che l’ASL è stata chiamata a esprimersi su una possibile apertura in deroga, a conferma che quanto segnalavamo già in campagna elettorale non era pretestuoso, ma fondato.
Non è mai troppo tardi per assumersi la responsabilità politica delle scelte fatte, ma a pagare il prezzo di questa lunga incertezza sono stati gli utenti e le loro famiglie, che si sono ritrovati senza un presidio fondamentale, nel silenzio generale.
Ma noi non possiamo tacere su come sia stata gestita questa transizione.
Oggi la priorità è una sola: riaprire il centro e restituire alle famiglie un servizio quotidiano. Siamo certi che sia l’obiettivo condiviso da tutti – amministrazione, operatori, cittadini – e confidiamo che, anche se non è stata ancora comunicata una data ufficiale, si sia finalmente arrivati alle fasi conclusive.
Resta però l’amaro in bocca per il silenzio che ha avvolto questa vicenda. Sembra che si parli solo di ciò che funziona, o di ciò che si vuole far apparire tale. Di tutto il resto, invece, si tace.
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