Un convegno ad Arezzo per superare i luoghi comuni sulla Terapia Intensiva
Saranno a confronto gli operatori sanitari e gli ex pazienti della struttura
“Sopravvivere alla terapia intensiva si può?” È questo il titolo del convegno che si terrà sabato mattina, 21 dicembre, con inizio alle ore 9 nell’Auditorium dell’Ospedale San Donato di Arezzo. Un convegno nel quale verrà illustrato non solo il lavoro svolto dagli operatori sanitari, medici infermieri e Oss, ma nel quale troveranno spazio anche le testimonianze di chi nella terapia intensiva è stato curato.
Al convegno saranno presenti la direttrice generale Asl Tse facente funzioni Antonella Valeri, la direttrice Sanitaria Asl Tse Assunta De Luca, la direttrice del presidio ospedaliero Barbara Innocenti e la direttrice del Dipartimento delle professioni infermieristiche e ostetriche Asl Tse, Vianella Agostinelli.
«Certamente che si può sopravvivere alla Terapia Intensiva e lo dimostrano i numeri – esordisce la dr.ssa Raffaella Pavani, direttrice Terapia Intensiva San Donato Arezzo -. Purtroppo c’è uno stereotipo negativo attorno alla terapia intensiva e questo convegno vuole proprio sfatare questa falsa credenza e superare lo stigma».
«La Terapia Intensiva si occupa del paziente critico, cioè di quel paziente in cui almeno una delle tre funzioni vitali è deficitaria – spiega la dr.ssa Pavani -. Lo scopo della terapia intensiva è infatti il supporto di una, o più, di queste funzioni vitali che sono la neurologica, la respiratoria e la cardiovascolare. Attraverso il supporto meccanico, quello farmacologico e il supporto assistenziale la terapia intensiva va a sostenere le funzioni d’organo del paziente».
«Lo scopo di questo convegno – prosegue la dr.ssa Pavani - è quello di evidenziare che la Terapia Intensiva è un reparto dove i pazienti trovano il massimo sostegno d’organo, dove i risultati sono eccellenti e nel quale le persone devono sentirsi accolte, non solo sotto il punto di vista medico-assistenziale, ma anche e soprattutto relazionale: siamo convinti, infatti, che la comunicazione è tempo di cura. È proprio in questa ottica che la nostra è una terapia intensiva aperta che consente ai parenti di stare vicino ai loro congiunti: in questo modo si stabilisce un rapporto di fiducia fra tutti gli operatori sanitari che vi operano e il paziente, se è sveglio, e i parenti che possono vedere quale è il nostro lavoro e il nostro impegno. Obiettivo della Terapia intensiva è la presa in cura del paziente critico in tutte le sue sfaccettature, comprensive dell’aspetto comunicativo e relazionale perché anche questo è terapia e contribuisce alla guarigione».
«La rianimazione – le fa eco Roberto Bindi, coordinatore Infermieristico Terapia Intensiva Ospedale Arezzo – non è solo monitor, fili e pompe, non è solo tecnologia ma è fatta soprattutto di persone con attenzione maniacale ai dettagli. Noi crediamo fermamente nella triade assistito-operatori sanitari-familiari e l’alleanza terapeutica che si crea nella triade può fare la differenza perché la parte relazionale si mixa con la parte tecnico-professionale anche laddove i malati dormono. Spesso si pensa che la Rianimazione sia un posto dove prevale la parte tecnica e che venga meno la parte relazionale di cura. Non è così e l’obiettivo del convegno di sabato è proprio evidenziare questo aspetto per superare lo stereotipo che colpisce questo importante reparto».
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