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Zone rosse, zone arancioni e zone gialle, spostamenti sì e spostamenti no

Natale senza luci...Natale senza parenti ma soprattutto un Natale senza prospettive

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Sarà un Natale diverso: oramai è un ritornello che va avanti, a causa di un Covid-19 che già aveva costretto a stare in casa per Pasqua. Zone rosse, zone arancioni e zone gialle, spostamenti sì e spostamenti no. La mia mente è tornata in questi giorni a un altro diverso Natale: correva l’anno 1973 e il sottoscritto, appena 12enne, frequentava la classe seconda media. Egitto e Siria avevano attaccato Israele (eravamo in ottobre) e i Paesi arabi associati all’Opec, organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, sostennero l’azione di Egitto e Siria tramite sostenuti aumenti del prezzo del petrolio greggio e dei suoi derivati. Un vero e proprio shock economico, che bloccò lo sviluppo dell’Occidente in atto da lustri. Risultato: in Europa, il problema numero uno divenne quello del risparmio energetico e proprio allora venne coniato il termine divenuto simbolico quando si indicano le ristrettezze: austerity. Che cosa comportò tutto questo? Niente circolazione dei veicoli alla domenica e nei giorni festivi (si cominciò il 2 dicembre ed era una domenica di neve), salvo i casi eccezionali e niente alberi accesi e luminarie nelle città e fuori dalle abitazioni. Per chi era bambino, era quasi inaccettabile una situazione del genere: anche se tutti albero e presepe se lo fecero comunque dentro le mura domestiche, fuori la percezione della festa era nulla. Ma ci abituammo anche a quella disposizione, nella convinzione che l’anno successivo (come poi andò) tutto sarebbe tornato alla normalità. Le stesse domeniche senza traffico (ma per Natale, Santo Stefano, Capodanno ed Epifania il divieto fu rimosso) vennero prese con filosofia: in strada si andava a giocare e a pattinare, allo stadio si andava in bicicletta ed era l’occasione giusta per una sana passeggiata a piedi. In fondo, si sapeva che non sarebbe durato a lungo: già a fine marzo, venne introdotta la regola delle targhe alterne e in maggio tutto finì. Quel Natale, però, rimase particolare, ma nel contesto di una situazione che comunque volgeva all’ottimismo. È vero: era un’Italia divenuta irrequieta, perché la strage di quattro anni prima in piazza Fontana a Milano aveva di fatto dato il via alla stagione della cosiddetta “strategia della tensione” (o agli “anni di piombo”, fate voi), con l’eversione di matrice “nera” da una parte e le Brigate Rosse dall’altra. Anni di sangue e di attacchi continui alle istituzioni, con un tributo di vite umane anche fra le forze dell’ordine. In parallelo, era dilagata anche la moda dei rapimenti a scopo di estorsione: imprenditori, gente facoltosa o loro parenti stretti (figli, in genere) venivano sottratti agli affetti più cari e rilasciati dopo il pagamento del riscatto. E anche su certe tematiche – vedi divorzio e aborto – era un’Italia in fermento e più disposta ad andare oltre il rigido moralismo, nonostante vi fosse da fare i conti contro una Chiesa che rivestiva il suo peso, eccome! Solo per citare alcuni esempi, il divorzio era visto come un peccato, la convivenza era uno scandalo e anche il padre che si ritrovava all’improvviso la figlia incinta viveva con imbarazzo e senso di vergogna fino al giorno del matrimonio riparatore. Eppure, era un’Italia che funzionava e che dava opportunità: era normale che il giovane, dopo la terza media, trovasse lavoro, così come il diplomato. La vita aveva una sorta di scaletta preordinata: diploma, servizio militare (per i maschi, ovviamente), lavoro, matrimonio, famiglia e casa. Sì, la proprietà di una casa era l’obiettivo della vita, l’emblema della realizzazione personale. Non solo: in quel periodo funzionava il cosiddetto “ascensore sociale”, nel senso che anche il figlio dell’operaio o della donna di servizio avrebbe potuto aspirare a diventare un imprenditore o un professionista. Anzi, per le famiglie meno abbienti un figlio bravo a scuola (e magari anche primo della classe) era il grande motivo di riscatto sociale e allora padri e madri non esitavano a lavorare anche 16 ore al giorno pur di reperire i soldi per far studiare il figlio, grande orgoglio di casa. Oggi, tutte queste certezze sono venute meno: allora bastava un diploma di media superiore, oggi nemmeno una laurea fa più la differenza; l’Italia è divenuta un Paese che produce cervelli da esportazione (perché solo all’estero ci sono le giuste opportunità), si convive e non ci sposa quasi più e anche i tanto criticati “mammoni” lo sono più per conseguenza che per scelta. Per carità, i tempi saranno cambiati: il Covid-19 ha aggiunto una bella mazzata e la paura prevalente è che il 2021 sia un anno di pandemia anche economica. Se dunque quello del 1973, fu un Natale senza luci, questo del 2020 è un Natale senza parenti (per alcuni) e soprattutto per diversi rischia di essere un Natale senza prospettive. Sono un positivo e un ottimista, ma mi rendo conto che fede stavolta ne occorra tanta. In mezzo ai pianti giustificati di coloro che temono di non sbarcare il lunario, si apre tuttavia qualche squarcio di sereno: aziende che continuano a lavorare e che tengono acceso al minimo il “motore” per non farlo spegnere. Da questo voglio ripartire per continuare a sperare. Buon Natale!  

Claudio Roselli         

Redazione
© Riproduzione riservata
18/12/2020 16:37:29


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