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Lento, solido, preciso: ecco come dovrebbe essere il giornalismo che dovremmo tornare a fare

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Ispirato dalla squadra Spotlight, che lavorava all'interno del Boston Global e che era impegnata nel settore delle inchieste, immagino che una situazione del genere non dovrebbe mai mancare perché il giornalismo possa diventare essenziale per i lettori. Un giornalismo che si nutra e si caratterizzi con la profondità, un giornalismo che si prenda tutto il tempo necessario, che si basi su solide argomentazioni, suffragate da prove documentali precise e inappuntabili. Un giornalismo al tempo stesso serio e responsabile, consapevole del proprio potere e degli effetti deflagranti che può avere. Un giornalismo, però, che non si lascia imbavagliare quando si tratta di dare voce alle vittime innocenti di abusi terribili come quelli perpetrati dalla Chiesa cattolica: è questa la grande lezione che ci dà il lavoro della squadra investigativa del Boston Global che il film omonimo, "Il caso Spotlight", ha permesso di conoscere in tutto il mondo. Martin Baron, il protagonista reale, ora direttore del Washington Post, racconta in un articolo pubblicato dall'Internazionale, la sua esperienza e anche alcuni retroscena. Ha temuto per molto tempo che il progetto cinematografico andasse in fumo ma alla fine, con sua grande soddisfazione si è realizzato grazie all'intervento di attori importanti e di altre figure che hanno creduto nell'idea che lo ha portato alla candidatura a ben 6 premi oscar. Ne ha vinti due: come miglior film e migliore sceneggiatura originale. Ma il maggior merito di questo film, a detta di molti, è quella di aver puntato i "riflettori" (spotlight in inglese) su una professione, quella del giornalismo e del giornalista, che ha perso nel tempo la sua identità diventando nel tempo l'ombra di se stessa. La squadra investigativa "Spotlight" del Boston Global è la più longeva e ha visto gli albori già prima che lo scandalo Watergate desse lustro e prestigio al giornalismo investigativo. Nasce dall'idea di Timothy Leland che nel 1970 penso di costituire un gruppo di giornalisti che si occupassero a tempo pieno d'inchiesta. La cosa, inaspettatamente, ebbe successo e portò alla realizzazione di numerose inchieste che portarono alla luce molti casi di frodi, abusi, corruzione, assenteismo dei dipendenti pubblici e un'alta incidenza di casi di leucemia e altre forme di tumore tra i lavoratori del cantiere navale di Portsmouth in New Hampshire. Oggi grazie al film, i giornalisti del Boston Global, già vincitori del Premio Pulitzer hanno ricevuto una standing ovation da Oscar, cosa rara per i giornalisti che sono per la maggiore considerati molto spesso alla stregua della feccia. Eccolo il merito di questo film: aver trasmesso non solo il potere ma il valore di questa professione, un valore che deve essere riscoperto e curato nel tempo perché non impallidisca più. Martin Baron conserva ancora la lettera di padre Thomas P. Doyle che si era battuto con tenacia contro gli abusi e a favore delle vittime:

"Gli abusi sessuali ai danni di bambini e giovani adulti da parte del clero cattolico e il loro insabbiamento, sono stati la cosa peggiore capitata alla chiesa in molti secoli. E' anche stato il peggior tradimento, da parte degli uomini di chiesa, delle persone che essi sono incaricati di proteggere. I bambini cattolici sono stati traditi, così come i loro genitori e amici. Sono stati traditi i preti e anche i cittadini. Questo incubo sarebbe andato avanti a lungo se non fosse stato per lei e lo Staff del Globe. Da persona che, per molti anni, si è impegnata a fondo per dare giustizia alle vittime e i sopravvissuti, la ringrazio con tutto me stesso. Le assicuro che quello che lei e il Globe avete fatto per le vittime, la chiesa e la società, non può essere quantificato. E' qualcosa d'epocale e i suoi effetti positivi riecheggeranno per decenni".

Ecco che cosa significa essere giornalisti.

Redazione
© Riproduzione riservata
29/04/2016 08:56:19

Buttarini Massimo

Originario e residente a Città di Castello, si è laureato in Psicologia a indirizzo applicativo presso l’Università “La Sapienza” di Roma e svolge la professione di psicologo dal 1992. È esperto di psicologia investigativa e investigazioni difensive, consulente per studi legali, psicologo clinico e forense specializzato in psicoterapia. Ha una predilezione per il giornalismo d’indagine, finalizzato alla ricerca della verità, che lo ha portato a seguire alcuni fra i principali casi di cronaca del nostro Paese.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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