Sestino nel progetto “Valtiberina capitale italiana della cultura”

Capitale della cultura significa anche essere produttori di specialità, di agricoltura green e bio
La candidatura della Valtiberina umbra e toscana a Capitale Italiana della Cultura 2026 è senz’altro una felice iniziativa. Credo anch’io che questo territorio, che è bagnato dal “dio Tiber”, illuminato da monumenti e geni internazionali abbia le carte in regola.
Credo anche che tutti i Comuni abbiano un ruolo all’interno del progetto e che il mosaico è tanto più convincente quanto più i vari “tasselli” territoriali siano ognuno “una piccola capitale della cultura”.
Per questo immagino una presa di coscienza da parte di Sestino per risolvere alcuni problemi strettamente connessi a tale progetto.
C’è l’ambiente da curare. Il Parco faunistico di Ranco Spinoso, affidato alla Unione dei Comuni, non può essere ridotto a zoo: non era questo lo scopo iniziale dei promotori e non lo è ancora. L’ambiente ha un forte elemento pluridisciplinare nel Sasso di Simone: ma la Riserva Naturale va completamente rivista nella gestione, nella promozione, nella tutela ambientale. La Regione Toscana ha fatto notevoli interventi ma senza una convinta adesione da parte della Sestino attuale essa resterà ancora una “suddita” del Parco interregionale con sede in Carpegna. Che essa sia stata una soluzione anche pratica per vari problemi – dal pascolo, alla salute animale, alla biodiversità, alla convivenza con il poligono militare - lo dicono i molti “passaggi” che si sono strutturati nell’ultimo cinquantennio.
Il secondo elemento forte che può sfoderare Sestino è l’archeologia, insieme a vari “castelli di altura”. C’è da dirimere sveltamente il problema se andare a costituire un “Museo civico” o se restare “Antiquarium nazionale”. C’è da risistemare le sedi e soprattutto da completare le esposizioni con altro “capitolo” straordinario, che è costituito dall’antropologia, quale risultato di studi di oltre duecento tombe rinvenute soprattutto nell’area della antica Pieve di S. Pancrazio. E questa antica Pieve, sorta sulla “curia romana”, costituita in età tardo-antica in stile ravennate - del quale periodo conserva una splendida cripta e non valorizzate pietre istoriate che formavano il pluteo - deve tornare ad essere altra carta identitaria della comunità sestinate.
Capitale della cultura significa anche essere produttori di specialità, di agricoltura green e bio. Riprendere a riflettere su questi argomenti – giacchè oggi la popolazione di Sestino e il suo territorio sono costituiti essenzialmente da proprietari agricoli e allevatori- è un salto non solo verso la “capitale della cultura” ma verso una moderna e compartecipe società locale, che possa unire le radici, la tradizione ad un’anima moderna coesa e in linea con i problemi di un “Creato” che va salvaguardato.
Nessuna provocazione in queste pubbliche riflessioni ma adesione ad un confronto che possa mirare ad un futuro per i nostri figli e nipoti.
Giancarlo Renzi
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