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L’inflazione Usa al 5%: è ai minimi da due anni. Ma i dati spiazzano le Borse

La Fed: «La strada da percorrere è ancora lunga». Le incognite sui tassi

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Ancora una contrazione, la nona consecutiva, per l’inflazione negli Stati Uniti. Il minimo dal maggio 2021. A marzo, i prezzi al consumo su base tendenziale hanno frenato a quota 5%, contro il 6% precedente. La lettura è migliore delle previsioni di mercato che puntavano al 5,6%. Fin qui, la buona notizia. E poi c’è quella che più preoccupa la Federal Reserve. Ovvero la continua crescita dell’inflazione core, o di fondo (depurata da energia e alimentari), che in marzo è salita di un decimale, fino a quota 5,6%, rispetto all’anno precedente. Numeri che sono stati accolti in modo misto dalle Borse, specie perché rendono difficile la lettura delle prossime mosse della Fed di Jerome Powell.

«Il nostro focus è sempre più sull’inflazione di fondo, che mostra una persistenza non prevista». Poco meno di due settimane fa James Bullard, presidente della Federal Reserve di St. Louis, aveva messo in guardia i colleghi dei dodici distretti. “È probabile che l’inflazione rimanga ostinatamente persistente e che la Federal Reserve debba continuare a lavorare per riportarla al suo obiettivo del 2%”, ha spiegato Bullard. Il quale non ha negato i problemi. «La strada da percorrere è ancora lunga, dovremo continuare a fare pressione per assicurarci che l’inflazione torni a scendere», ha detto Bullard all'Arkansas Bankers Association di Little Rock, in Arkansas. Parole che non sono passate inosservate e che adesso trovano la certezza dei dati. Se è vero che i prezzi al consumo al netto della componente energetica e degli alimentari freschi sono calati dello 0,4% su base mensile, la persistenza del dato tendenziale è tale da far preoccupare tanto i consumatori quanto gli investitori e i policymaker.

A preoccupare sono anche altre letture, tuttavia. A marzo, gli affitti e i prezzi delle case hanno continuato a crescere sensibilmente (+0,6% su un mese), così come i trasporti (+1,4%). «Ci sono segnali incoraggianti ma con un’inflazione sottostante ancora alta, c’è una forte possibilità che la Fed continui a stringere con un altro rialzo finale dei tassi di 25 punti base alla prossima riunione monetaria», ha commentato Paul Ashworth, economista di Capital Economics. Non a caso, anche il presidente statunitense è stato cauto nel commentare gli ultimi sviluppi. Il dato sui prezzi al consumo, secondo Joe Biden, «dimostra i continui progressi nella lotta contro l'inflazione». La nota della Casa Bianca ha poi anche sottolineato che «i prezzi della benzina sono in calo e quelli dei generi alimentari sono diminuiti a marzo» per la prima volta dal settembre 2020. Uno scenario che però è ancora in divenire, come rammentato dagli analisti di Goldman Sachs e Bank of America.

I dati serviranno ad avere ulteriori indicazioni sulle prossime mosse della Federal Reserve: ora, secondo i dati raccolti dal Cme Group, per gli analisti c’è il 34,8% di possibilità che la banca centrale statunitense lasci invariati i tassi d'interesse al 4,75%-5% durante la riunione di maggio, e il 65,2% di un aumento di altri 25 punti base. Per fare un paragone, prima dei dati sull'inflazione, le possibilità di un aumento dei tassi erano al 73,2%. Nuove indicazioni sono attese inoltre dai verbali dell'ultima riunione della Fed, dove si rimarcheranno i timori sia per la stabilità finanziaria in seguito ai problemi con le banche regionali sia la persistenza dell’inflazione sottostante. Gli investitori, dopo una serie di dati economici deboli, hanno ora un maggior timore che possa verificarsi una recessione. Parola che è stata utilizzata da Neel Kashkari, numero uno della Fed di Minneapolis, il quale non ha nascosto che esista la possibilità di una recessione. Parlando agli studenti della Montana State University, Kashkari ha affermato che gli aumenti dei tassi di interesse della Fed e un possibile ritiro dei prestiti dopo i due fallimenti bancari (Silicon Valley Bank e Signature) il mese scorso “potrebbero innescare una recessione”, ma “consentire all’inflazione di rimanere alta sarebbe ancora peggio per il mercato del lavoro”. Un concetto che è stato recepito in malo modo dagli investitori.

Mista la reazione sui mercati finanziari, considerato il quadro a tinte fosche. Dopo i primi minuti di scambi, il Dow Jones saliva di 144,49 punti (+0,43%), lo S&P 500 guadagnava 19,59 punti (+0,48%), il Nasdaq è stato in rialzo di 77,17 punti (+0,64%). Le Borse europee, dopo lo scatto in scia all’inflazione Usa, hanno invece messo la retromarcia e, pur confermando il rialzo, si muovono in maniera più cauta. Milano resta la migliore con il Ftse Mib che sale dello 0,85% trainato dai bancari (Unicredit +3,2%, Bper +3,3%, Mps (+3,5%). Tra le altre piazze azionarie, a metà pomeriggio Francoforte guadagnava lo 0,4%, Londra lo 0,64% e Parigi lo 0,34%. Ancora una volta, l’incertezza continua a essere elevata e sembra essere l’unica costante di questa prima parte dell’anno.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
12/04/2023 20:32:43


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