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La mossa Fed: tassi su di 50 punti, ai massimi da quindici anni

La banca centrale Usa rallenta il ritmo della stretta ma non si ferma

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Rallenta, ma non termina, il ritmo dei rialzi della Federal Reserve. Più 50 punti base è quanto portato da Jerome Powell alla riunione del Federal Open Market Committee (FOMC), il braccio operativo della banca centrale statunitense. E la decisione è stata unanime. Il sollievo dato da un’inflazione in netta flessione in novembre, con il dato finale a quota 7,1% (nonostante una Core ancora elevata al 6%), permette di tirare il freno a mano per evitare di indurre in recessione il Paese. La novità di Powell è che sta seguendo la Banca centrale europea (Bce) nel calibramento della politica monetaria, che sarà meeting by meeting, riunione per riunione. Gli analisti adesso vedono un tasso neutro a quota 5,00-5,25%, segno che ulteriori rialzi potranno arrivare nei prossimi mesi. I banchieri hanno anche rivisto la previsione del Pil 2022 da +0,2% a +0,5%. Il dato sull’inflazione passa da 5,4% a 5,6 per cento. 

Le porte aperte

Lo aveva detto poche settimane fa, sorprendendo buona parte degli investitori. Parlando a Washington D.C. a un evento dell’Hutchins Center on Fiscal and Monetary Policy della Brooking Institution, Powell aveva lasciato le porte aperte a un ritracciamento della politica monetaria statunitense. Non uno stop. Ma dopo il rialzo da 25 punti base di marzo, quello da 50 di inizio maggio e i tre aumenti da 75 punti ciascuno di giugno, luglio e settembre, con un’inflazione passata dal 9,1% di luglio al 7,1% di novembre, un cambio di rotta era probabile. «La politica monetaria influisce sull'economia e sull'inflazione con ritardi incerti e gli effetti completi del nostro rapido inasprimento finora devono ancora essere avvertiti», ha spiegato Powell a fine novembre. Rimarcando che avrebbe avuto senso «moderare il ritmo dei nostri aumenti dei tassi 

man mano che ci avviciniamo al livello di contenimento che sarà sufficiente a ridurre l'inflazione». Detto, fatto.

 

Obiettivo 2 per cento

Resta però lo spazio aperto a eventuali ricalibramenti. «Il FOMC prevede che i continui aumenti della fascia obiettivo (dei tassi d’interesse, ndr) saranno appropriati per raggiungere un orientamento di politica monetaria sufficientemente restrittivo da riportare l'inflazione al 2 per cento nel tempo», spiega la nota di commento alla decisione. Nel determinare il ritmo dei futuri aumenti della fascia obiettivo, il FOMC «terrà conto dell'inasprimento cumulativo della politica monetaria, dei ritardi con cui la politica monetaria influisce sull'attività economica e sull'inflazione e degli sviluppi economici e finanziari». In altre parole, se le condizioni economiche dovessero peggiorare, ci sarà una possibile revisione.

Le buone notizie sono numerose. Secondo François Rimeu, senior strategist della boutique finanziaria La Française AM, «il dato di novembre, inferiore alle attese, è una buona notizia per la Fed, anche se non significa che la lotta all'inflazione sia finita, visto l'alto livello di inflazione salariale nel settore dei servizi negli Stati Uniti». Del resto, Powell stesso nelle ultime settimane ha segnalato che il contrasto all’inflazione non è completato. Parole riprese dal presidente Joe Biden ieri, commentando gli ultimi dati sui prezzi statunitensi. «È probabile che il ripristino della stabilità dei prezzi richieda il mantenimento di una politica restrittiva per qualche tempo. La storia mette fortemente in guardia contro un allentamento prematuro della politica monetaria. Manterremo la rotta fino a quando il lavoro non sarà finito», ha spiegato Powell. Ritmo con un percorso diverso, sì, ma non in modo radicale.

 

Il nodo del lavoro

Concorda anche Blerina Uruci, economista focalizzata sugli Usa di T. Rowe Price, colosso di Baltimore. «Il mercato del lavoro rimane molto rigido; la crescita dei posti di lavoro ha sorpreso al rialzo a novembre e la crescita dei salari ha accelerato», spiega Uruci. Tuttavia, aggiunge, «interpreterei il rapporto sull'occupazione di novembre nel contesto di altri dati, sia hard che soft, che suggeriscono che lo slancio di crescita del mercato del lavoro e dell'economia in generale rallenterà costantemente il prossimo anno». E c’è poi un altro aspetto che Powell dovrà affrontare. «Il mercato immobiliare rimane sotto stress - chiosa Uruci - con un calo delle vendite, degli avviamenti e dei prezzi delle case in risposta all'aumento dei tassi ipotecari».

L’altro cambio di rotta è dato dallo stop, almeno sulla carta, della forward guidance. Vale a dire, le indicazioni prospettiche per fornire una sorta di agenda agli investitori dei mercati finanziari. In pratica, quanto suggerito da giugno a oggi da James Bullard, presidente della Fed di St. Louis. Già a Sintra, durante il forum annuale della Banca centrale europea, l’autorevole voce di Bullard aveva criticato la politica monetaria di Powell, rimarcando che con mercati così volatili e incerti sarebbe stato meglio non fornire indicazioni troppo precise agli operatori. Pena, soffrire una crisi di credibilità in caso di revisioni al ribasso delle stime. Non solo sulle prospettive di crescita, bensì anche sulla gestione delle fiammate dei prezzi al consumo, più persistenti e duraturi di quanto previsto al simposio di Jackson Hole del 2021, quando l’inflazione era stata considerata da Powell come «temporanea» e «transitoria». A distanza di un anno, gli errori sono stati ammessi e il cambio di narrativa è stato preciso. Nel corso del primo trimestre del prossimo anno si capirà se è stata la mossa corretta per, da un lato, raffreddare i prezzi e, dall’altro, ridurre l’impatto sull’economia domestica e globale.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
14/12/2022 22:14:28


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