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Eugenia Dal Bò vince il 35esimo Premio Pieve "Saverio Tutino"

"Figlia del Risorgimento" è la scrittura appassionata che ha messo d'accordo la giuria

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La scrittura appassionata di Eugenia Dal Bò - autobiografia dal 1867 al 1943 - ci racconta la storia del nostro Paese, dall’Unità d’Italia fino alla vigilia della proclamazione della Repubblica. "Figlia del Risorgimento" vince la 35^ edizione del Premio Pieve Saverio Tutino, il concorso per scritture autobiografiche inedite organizzato dall’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. La decisione della giuria del Premio è stata dettata dalla singolarità di una scrittura affascinante e intensa che ci restituisce la figura di una donna protagonista di pagine importanti della storia italiana. 

La motivazione della giuria nazionale del Premio Pieve

Lo scritto di Eugenia Dal Bò (1867-1943) è un racconto appassionante che prende l’avvio dalle vicende del padre, che paga con la prigionia austriaca il suo patriottismo, e si snoda fino al crepuscolo del regime fascista. Educata al senso della patria e alla passione per la cultura, Eugenia farà delle scelte audaci per la sua epoca. Come studentessa di liceo e università, sarà isolata, unica donna in un mondo maschile: i compagni, i professori non accettano facilmente la sua anomala presenza ed ella fatica non poco ad abbattere i pregiudizi e a conquistare il diritto allo studio. A fine Ottocento, si laurea in Lettere a Napoli, unica donna del suo corso. Riesce ad affermarsi come studiosa di Dante e conferenziera, e in qualità di insegnante gira l’Italia in lungo e in largo. Dall’incontro con Gherardo Pantano, ufficiale dei bersaglieri e poi generale, nasce una storia d’amore lunga tutta la vita. I due si sposano dopo un decennale fidanzamento e condividono un rapporto paritario piuttosto inusuale per quegli anni. Sempre al suo fianco, Eugenia viaggia, vive nelle colonie e diventa crocerossina per seguirlo al fronte nella Prima guerra mondiale. Una scrittura affascinante e intensa che ci restituisce la figura di una donna mai dimentica dell’intensità degli affetti famigliari. Protagonista senza retorica di pagine importanti della storia italiana, la sua memoria ci consegna un ritratto raro e significativo di una persona dalla forte fibra morale capace di posizioni coraggiose e libere. 
 
Scheda Eugenia Dal Bò vincitrice del 35° Premio Pieve
 
Eugenia Dal Bò nasce all’indomani dell’Unità d’Italia e muore alla vigilia della proclamazione della Repubblica. La sua vita è un arco teso lungo tutto il periodo storico in cui il Paese si afferma come Stato nazionale, un processo che Eugenia e i suoi congiunti più stretti osservano spesso dalle prime linee e, talvolta, contribuiscono a plasmare. Sono nata a Milano il 23 dicembre 1867: mio padre – veneto, anzi cadorino – era uscito da poco più di un anno dalla fortezza austriaca di Petervaradino ultima delle varie fortezze in cui era stato rinchiuso, dopo che il processo per “alto tradimento” gli aveva inflitto la condanna a 12 anni di carcere durissimo. Un padre patriota che le infonde ideali mazziniani e la incoraggia a proseguire gli studi fino alla laurea in Lettere che consegue a Napoli, unica donna del suo corso. Insegnante, studiosa di Dante e conferenziera, vive a tutte le latitudini dell’Italia ormai unitaria ma non ancora unificata nella cultura e nei costumi, fin quando non sposa un ufficiale dei bersaglieri: Gherardo Pantano, personaggio illustre destinato a scalare la gerarchia dell’esercito e a diventare generale. Il matrimonio si celebra dopo dieci anni di fidanzamento, durante i quali l’unione non vacilla nonostante le distanze e le separazioni, talvolta lunghe e protratte. Nel 1896 Gherardo è ad Adua quando l’Italia subisce una pesante sconfitta militare in seguito all’aggressione dell’Impero etiope, e durante il primo decennio del ‘900 presta servizio in Africa. Nel 1908 dopo le nozze Eugenia lo raggiunge ad Aden, nell’attuale Yemen, insieme si spostano a Massaua e Asmara in Eritrea fino ad arrivare in Libia, divenuta colonia italiana dal 1912. Eravamo a Tripoli, appena giunti dall’Italia il 28 giugno, quando nel mondo si sparse come un fulmine la notizia dell’assassinio del Granduca Fr. Ferdinando d’Asburgo, il fiero nemico dell’Italia, colui che vagheggiava il sogno
di mettere ancora sotto il dominio dell’aquila a due teste il Lombardo Veneto. È il 1914, è lo scoppio della Grande Guerra e quando dopo pochi mesi l’Italia entra a far parte del conflitto, Gherardo freme per andare al fronte. Ci riuscirà nell’inverno del 1916 ed Eugenia sarà al suo fianco anche in quell’occasione. Appena arrivati in Italia fu subito chiamato al comando di un reggimento di fanteria che era in prima linea ed io, fedele al mio proposito, m’iscrissi ad un corso accelerato per infermiera. Da una parte all’altra della zona di guerra mantengono un fitto scambio epistolare, mentre l’orrore si spalanca davanti ai loro occhi. Gherardo non risparmia critiche feroci ai comandi militari, di cui pure fa parte, per le vessazioni inflitte alla truppa: Perché, se questi soldati sono buoni, coraggiosi, sereni li trattiamo come fossero avanzi di galera e vili? Perché ne turbiamo la serenità e la fede con ogni tipo di ingiustizia, con ogni misura più odiosa, con minacce? Il disastro di Caporetto li vede ancora una volta uniti nella stessa sorte. Eugenia ricorda le ore della disfatta vissute all’ospedaletto da campo 111: Si facevano iniezioni antitetaniche e si ponevano quei poveri soldati in condizioni di fare la lunga e dolorosa via crucis che li aspettava e che aspettava tutti noi: perché man mano che passava il tempo si faceva sempre più chiara l’immensità del disastro che ci aveva colpiti. Un ordine di trasferimento in Libia nel settembre del 1918 impedisce loro di vivere ancora una volta in prima linea la battaglia di Vittorio Veneto, la vittoria di quella che veniva rappresentata come l’ultima guerra d’indipendenza. Nel periodo post bellico incroceranno ancora gli eventi e i personaggi più importanti del momento storico, da D’Annunzio a Badoglio, fino a Mussolini. Vivranno intensamente l’epoca fascista e moriranno al crepuscolo del regime, Gherardo nel 1937, Eugenia nel luglio del 1943, due settimane prima della caduta del Duce.

Redazione
© Riproduzione riservata
16/09/2019 08:49:06


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