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Torna libero Roberto Spada. Diede una testata a un giornalista

Lascia il carcere di Tolmezzo per «espiazione della pena»

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Torna libero Roberto Spada, l'esponente del clan di Ostia noto per la testata ad un giornalista del programma Rai “Nemo”. Venerdì scorso Spada è uscito dal carcere di Tolmezzo dove era stato rinchiuso a seguito anche del gesto violento. Spada, «dimesso per espiazione della pena», è stato accolto ad Ostia da fuochi d'artificio e da una festa per il suo ritorno a casa. 

Confermato l'ergastolo per Ottavio Spada al processo di appello bis nei confronti del clan di Ostia per il duplice omicidio di due esponenti di un clan rivale, Giovanni Galleoni detto “Baficchio” e Francesco Antonini detto "Sorcanera”, avvenuto il 22 novembre del 2011 nel centro di Ostia. Con la sentenza emessa il 19 settembre dai giudici della Corte di assise di appello di Roma è stato invece assolto Roberto Spada e la pena per lui è stata determinata in 10 anni per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. E' stata stralciata, dopo la requisitoria del procuratore generale, a causa di un impedimento del difensore e verrà discussa davanti a un'altra sezione, la posizione di Carmine Spada. Il pg Francesco Mollace nella scorsa udienza aveva chiesto di confermare i tre ergastoli inflitti in primo grado. Roberto Spada è stato già condannato in via definitiva a sei anni per la testata al giornalista Daniele Piervincenzi. Al nuovo appello si è arrivati dopo la sentenza della Cassazione dello scorso gennaio, che ha riconosciuto definitivamente l'associazione a delinquere di stampo mafioso per il clan di Ostia, disponendo però un nuovo processo d'Appello per il duplice omicidio dei due esponenti di un clan rivale.
Metodo mafioso
«'Correttamente il gruppo Spada è stato annoverato fra le altre associazioni, comunque localmente denominate, che, valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo, perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, essendo stato individuato nell'articolazione del gruppo criminale il minimo comune denominatore necessario per ritenere costituita e operante l'associazione mafiosa, ossia l'impiego sistemico del metodo mafioso in guisa tale da ingenerare nella platea che con esso si pone in relazione la condizione diffusa dell'assoggettamento omertoso, essendo emersa la capacità della consorteria di dispiegare il metodo intimidatorio promanante dal vincolo». E' quanto avevano scritto i giudici della prima sezione penale di Cassazione nelle motivazioni con cui lo scorso gennaio hanno confermato l'associazione a delinquere di stampo mafioso per il clan Spada di Ostia nel maxi processo contro il clan del litorale romano. I supremi giudici avevano disposto anche un nuovo processo d'Appello per il duplice omicidio di due esponenti di un clan rivale nel centro di Ostia. Per il clan Spada, la Corte territoriale ha ritenuto congrua la qualificazione di un gruppo di “nuova mafia”,  siccome non radicata nel patrimonio storico assicurato dal prestigio criminale della tradizione'' come nel caso delle ''mafie storiche, quali Cosa nostra, o 'ndrangheta e camorra'' - e di “piccola mafia” - scrivono i supremi giudici - la quale però nel suo ambito ha sviluppato una forza di intimidazione scaturente dal vincolo associativo fino a farne derivare quella tangibile condizione di omertà e assoggettamento di coloro che si siano trovati a rapportarsi con essa. Ciò nella stessa prospettiva che ha condotto all'accertamento della natura mafiosa del clan Fasciani, consorzio criminale al quale gli Spada hanno fatto esplicito riferimento e con il quale sono state acclarate «permanenti condizioni di collaborazione».

Controllo
«Il controllo dell'ambito ostiense non è stato inteso come dominio assoluto, ma come controllo concorrente, vale a dire riferito a una porzione di quel territorio: gli Spada operavano già in modo incontrastato su una parte di territorio di Ostia imperniata sulla piazza Gasparri e avevano successivamente ampliato il loro dominio anche su via Forni, una volta eliminata la resistenza del gruppo dei Baficchi, in una progressione accrescitiva della sfera di influenza - si legge - parallelamente al consolidamento dell'alleanza con il clan Fasciani, anche penetrando nella gestione delle attività economiche, comprese quella relativa alle slot machines, ciò senza ammettere la concorrenza di altri gruppi criminali o singoli delinquenti», spiega la Cassazione. E ancora: '«Essendo chiaro che un capo come Carmine Fasciani, principale esponente del clan omonimo, non aveva certo bisogno dell'obolo disposto da Carmine Spada per mantenersi nel corso della detenzione, l'offerta aveva solo un significato simbolico, quello di sottomissione e di conferma dell'alleanza, di tributo a un capo rispettato, di rassicurazione in ordine alla costante presenza sul territorio in stretta collaborazione con chi è detenuto, secondo uno sperimentato codice proprio delle mafie tradizionali ma fatto proprio anche da queste nuove consorterie, ivi incluso il clan Spada».

Maxi processo
Il maxi processo al clan Spada era nato dall'indagine della Dda di Roma, coordinata dai magistrati Michele Prestipino con Ilaria Calo' e Mario Palazzi, che aveva portato il 25 gennaio del 2018 all'operazione ''Eclissi'' con gli arresti eseguiti dai carabinieri e dagli agenti della Squadra mobile. Il 12 gennaio dello scorso anno i giudici della Prima Corte d'Assise d'Appello di Roma avevano confermato l'associazione per delinquere di stampo mafioso e le condanne per i 17 imputati per oltre 150 anni di carcere, tra queste, l'ergastolo per Roberto Spada e per Ottavio Spada, detto Marco, mentre era stata ridotta la condanna per Carmine Spada, dall'ergastolo a 17 anni.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
06/10/2022 14:28:53


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