Opinionisti Paolo Tagliaferri

Fra chi riparte di slancio e chi è costretto ad inseguire

Il 15% della popolazione mondiale presenta qualche forma di disabilità

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Secondo recenti studi dell’Organizzazione mondiale della Sanità, si calcola che nel mondo più di un miliardo di persone vive con qualche forma di disabilità. Potremo, con ingiustificata presunzione, mettere in dubbio la fonte di tali dati, cercare addirittura di fare distinzioni e distinguo, ma non avremmo fatto altro che perdere di vista il problema. Questi dati appaiono, ai nostri occhi di persone comuni, così palesemente esagerati ed irrealistici da non poter sortire in noi neppure un minimo sussulto. Non può essere possibile che il 15% della popolazione mondiale abbia qualche forma di disabilità. Che diamine, ce ne saremo per forza accorti! In una città come Arezzo ne dovremo incontrare quotidianamente, addirittura a migliaia. Forse si nascondono, forse sono spariti. Ma la verità è ancora una volta semplice, disarmante e addirittura banale. Non li vediamo perché non abbiamo bisogno di vederli, per quanto a momenti ci ammantiamo di un temporaneo atteggiamento pietistico e compassionevole. Fintanto che la nostra strada e la nostra vita non si incrocia con la loro esistenza, non ci accorgiamo realmente di loro. Divengono realtà solo se improvvisamente riguardano direttamente noi stessi, o un nostro familiare, o nostro figlio o un nostro caro. Fino a quel momento siamo ciechi, distratti e praticamente disinteressati. In fondo viviamo in un mondo da sempre suddiviso fra chi è abile e chi è disabile, dove le persone sono spesso catalogate non per quello che sono ma per quello che sanno o non sanno fare. Disabilità che diviene, a seconda dei casi, tragedia, insulto, difetto, privazione o malattia. Persone disabili che vengono catalogate, definite, studiate e contate, che sono ridotte semplicemente alla loro disabilità, privandoli della loro complessità e della loro pluralità. Persone che diventano il proprio corpo, che sono definite e coincidono con il loro deficit; quell’uomo in sedia rotelle, quell’anziano con il cane-guida, quel bambino con la maestra di sostegno, quella signora che parla in modo strano.

In questi giorni siamo tutti pronti per ripartire di slancio con l’agognata fase 2 che è finalmente arrivata dopo l’immane tragedia di questi mesi causata dal Covid-19. Per quanto la guerra non sia forse finita e lo spettro di una seconda ondata epidemica autunnale resti sospesa sopra le nostre teste, ora non pensiamo ad altro che a ripartire e un comprensibile ottimismo sta conquistando un po’ tutti. Ma il nostro futuro è incerto, la nostra economia globale è stata travolta e dissanguata e le conseguenze di tutto quello che è accaduto si mostreranno con spietatezza nei prossimi mesi o anni. C’è da augurarsi che nessuno sarà comunque lasciato indietro, che si possa approfittare di questa assurda fase storica per ripensare con risolutezza e impegno anche le politiche di salvaguardia dei diritti fondamentali dei disabili. Viene da sperare che tutto non sia trascorso invano e che la sofferenze e il dolore che ha investito le nostre fragili esistenze sia stato davvero di monito e di insegnamento, rendendoci migliori.

A fine estate di quest’anno dovevano tenersi a Tokio i giochi paraolimpici a degna conclusione delle certamente più seguite e sponsorizzate manifestazioni riservate ai normodotati. Tutto rimandato al prossimo anno causa Covid-19. Due manifestazioni accumunate dallo stesso spirito olimpico, che condividono l’imponente organizzazione che una nazione prepara nei minimi particolari per anni, ma pur sempre manifestazioni distinte e parallele ad indicare nuovamente una sorta di separazione morale tra persone con e senza disabilità. Ciclicamente riprende vita il dibattito sull’opportunità di fondere i Giochi olimpici e paraolimpici in un unico e contemporaneo evento ma per adesso sono solo flebili speranze. Non vi è dubbio però che il Giappone, ormai da anni, sta ponendo sempre maggiore attenzione alle esigenze dei disabili, proponendo e attuando soluzioni eccellenti ed innovative, dedicandovi una attenzione che ben si integra con lo spirito e la cultura del popolo del sol levante. Interventi radicali che hanno riguardato le infrastrutture, la mobilità e i servizi di molte città giapponesi, non sempre e necessariamente legate alle esigenze dei disabili ma divenute inevitabili a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione. Un principio che riguarda dunque più in generale il miglioramento dei servizi e l’accessibilità a tutte le persone. La situazione in Italia è certamente diversa, sia riguardo alle infrastrutture che ai servizi, ma certamente è anche un problema culturale se ancora oggi non si riesce neppure a comprendere che un parcheggio riservato ai disabili non è il modo più semplice per trovare parcheggio. In Giappone invece, i taxi e bus sono accessibili a chiunque, percorsi per ciechi dappertutto, posti riservati agli utenti di sedie a rotelle ormai ovunque, semafori con bottoni appositi per ciechi e disabili in carrozzina, strisce pedonali speciali. I disabili stanno costruendo il loro spazio vitale nel Giappone odierno, ma ci sono voluti e ci vogliono ancora molti anni perché vengano veramente integrati da una società molto chiusa. Dovremo prendere spunto da loro, visitare le loro città, studiare le loro tecnologie e soluzione e adattarle alle nostre città ed infrastrutture. Prendere il meglio di quanto fatto dal popolo giapponese in termini di accessibilità e servizi e aggiungerci magari quel tocco di originalità e bellezza che in fondo a noi italiani ci riesce forse ancora bene. Ma l’esempio del paese del sol levante è anche un monito a non fermarsi alla sola apparenza, a non limitare gli interventi alle infrastrutture e al solo miglioramento dell’accessibilità ma, al contrario, incidere profondamente nel tessuto sociale e culturale creando le condizioni per un completo rispetto di coloro che si trovano ad affrontare le difficoltà quotidiane partendo da condizioni fisiche o mentali particolari. Non deve essere dimenticato, restando al Giappone, un passato fatto di privazioni, abusi e tragedie. Le autorità nipponiche sono state accusate da diverse organizzazione a difesa dei diritti dei disabili di avere condotto, per più di quarant’anni, una campagna di sterilizzazione forzata ai danni di migliaia di soggetti affetti da malattie o ritardi mentali, un vera e propria campagna eugenetica pare proseguita fino al 1996 e che avrebbe determinato la sterilizzazione di 25mila disabili. Un programma denominato “Eugenic Protection Project”, diretto a salvaguardare le “qualità genetiche” del popolo giapponese. E neppure possiamo dimenticare che, secondo un sondaggio del Ministero del Lavoro del 2016, in Giappone, per quanto stia diminuendo il numero di denuncie relative ad abusi su disabili, si registrano aumenti di maltrattamenti accertati sui disabili all’interno delle case di cura. Abusi perpetrati da tutori o familiari delle vittime e, in altri luoghi, da colleghi e datori di lavoro. Episodi come la strage di Tsukui Yamayurien del 26 luglio del 2016, considerato il più grave omicidio di massa del Giappone post seconda guerra mondiale, devono fare riflettere, per quanto si sia trattato di un episodio isolato certamente da addebitare alla mente malata di un pazzo. Il suo autore, il trentenne Satoshi Uematsu che lo scorso 16 marzo è stato condannato alla pena capitale mediante impiccagione, ha dichiarato di aver agito per il bene della società, perché secondo lui “quei subumani” non avevano diritto di vivere. Uccise 19 ospiti di un centro per disabili, tra i 19 e i 70 anni, accoltellati nei loro letti, ferendone anche 25, molti in modo grave. Poi si consegnò ad una stazione di polizia.

Dunque l’augurio è che la fase 2, la ripartenza o la rinascita della nostra cara Italia e che segue la tragedia dell’epidemia di Covid-19, si faccia carico finalmente e in maniera completa e risolutiva di chi necessita di un supporto e un aiuto maggiore, che non si fermi però all’apparenza o al solo abbattimento delle barriere architettoniche e che non dimentichi mai gli errori, le privazioni e le tragedie che vi sono state anche in Italia nel passato.

San Giovanni Paolo II in occasione del Simposio internazionale su "Dignità e diritti della persona con handicap mentale" del 2004, scriveva che "Anche la persona portatrice di handicap deve essere facilitata a partecipare, per quanto le è possibile, alla vita della società ed essere aiutata ad attuare tutte le sue potenzialità di ordine fisico, psichico e spirituale, attraverso l'impegno sincero della società intera per assicurare condizioni concrete di vita, strutture di sostegno, tutele giuridiche capaci di rispondere ai bisogni e alle dinamiche di crescita della persona disabili e di coloro che condividono la sua situazione, a partire dai suoi familiari. In un mondo assetato di edonismo e ammaliato dalla bellezza effimera e fallace, le difficoltà dei disabili sono spesso percepite come uno scandalo e una provocazione e i loro problemi come un fardello da rimuovere o da risolvere sbrigativamente. Quanto più ci si muove nelle zone oscure e ignote della realtà umana, tanto più si comprende che proprio nelle situazioni più difficili e inquietanti emerge la dignità e la grandezza dell'essere umano che, indipendentemente dalle condizioni in cui svolge la sua vita e dalle capacità che può esprimere, possiede una dignità unica ed un valore singolare a partire dall'inizio della sua esistenza sino al momento della morte naturale".

 

Bibliografia e fonti:

“La solitudine n01” opera di Matteo La Peccerella

“Disability and Health” Mental Health Organization – 2018

Paolo Tagliaferri
© Riproduzione riservata
26/05/2020 17:39:46

Paolo Tagliaferri

Libero professionista – già dipendente del Centro ricerca e sviluppo della Pirelli Spa con esperienza presso il complesso metallurgico BMZ nella ex Unione Sovietica, da oltre venticinque anni consulente direzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, normativa ambientale e antincendio. Docente formatore in corsi professionali. Auditor di sistemi di gestione della sicurezza sul lavoro per l’ente internazionale DNV. Scrittore autodidatta e per diletto.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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