L’antica Hatra rivivrà grazie agli archeologi venuti dall’Italia
Prima missione nata con l’aiuto di Aliph, un fondo globale per la protezione del patrimonio
Hatra, il più imponente e meglio conservato dei siti archeologici in Iraq, una Petra irachena, si è salvata anche dall’Isis. Nonostante sia rimasta nelle grinfie dei jihadisti dalle bandiere nere per quasi tre anni, assalita con picconi, bulldozer e martelli pneumatici, alla fine nell’antica città carovaniera i “danni sono inferiori e quelli inflitti dalla mancata manutenzione e dagli interventi sciagurati ai tempi di Saddam Hussein”. La testimonianza arriva dagli archeologi italiani impegnati nella prima missione di ricognizione nel sito dopo la caduta del Califfato, nel 2017. E la buona notizia è che quasi tutti gli sfregi inflitti dai terroristi nemici della cultura “sono riparabili”, perché i frammenti sono stati gettati alla rinfusa attorno ai monumenti, possono essere recuperati, e “rimessi al loro posto”.
La missione, condotta dall’Ismeo, Associazione internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, ha come primo obiettivo quello di valutare la gravità dei danni inflitti dai jihadisti, che volevano cancellare tutte le testimonianze di civiltà precedenti a quella islamica. E i primi sopralluoghi sono promettenti, racconta l’archeologa Stefania Berlioz: “I danni inflitti dall’Isis sono quasi tutti riparabili, abbiamo già recuperato moltissimi frammenti di statue e architettonici”. Assieme ai suoi colleghi, guidati dall’archeologo Massimo Vidale, Stefania si alza tutte le mattine alle quattro, nella base logistica allestita a Mosul, e percorre oltre 100 chilometri di strade nel deserto, più di due ore in macchina, per arrivare al sito di Hatra “alle prime luci del mattino”. Alle due e mezza del pomeriggio bisogna ripartire, perché viaggiare di notte è pericoloso, in quanto nell’area ci sono ancora cellule dell’Isis attive, braccate dalle forze internazionali e dalle milizie sciite che nel 2017 hanno liberato la città.
Sono le Hashd al-Shaabi, ancora accampate “nel centro del sito archeologico”. Una presenza ingombrante ma indispensabile per garantire la sicurezza. I rischi ci sono, ma l’esperienza è impagabile. “Al mattino, nel silenzio del deserto, Hatra è ancora più magica”, racconta Stefania Berlioz. Il primo impatto è stato duro, con le tende dei miliziani davanti al grande santuario, cumuli di detriti e spazzatura. Ma poi si è capito che Hatra aveva resistito bene. I jihadisti avevano diffuso anche un video dei loro vandalismi ma “non sono paragonabili” a quelli inflitti ai siti di Niniveh e Nimroud, vicino a Mosul, dove avevano usato anche gli esplosivi. “Abbiamo trovato frammenti persino nella spazzatura, abbiamo provato a riattaccarli e funziona”. La prima missione si è conclusa in due settimane, poi bisognerà approntare un “piano di restauro complessivo”.
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