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Venti anni fa l'addio di Amintore Fanfani, orgoglio valtiberino della storia d'Italia

Storico dell'economia e politico al quale è mancata soltanto la Presidenza della Repubblica

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Esattamente venti anni fa, il 20 novembre 1999 – un sabato – ci lasciava Amintore Fanfani, protagonista assoluto della vita politica italiana del secolo scorso. Uno dei “padri” della nostra Repubblica, al quale mancavano un paio di mesi per arrivare ai 92 anni di età e al quale sono mancati 42 giorni per salutare l’arrivo del 2000. Quella mattina se n’era andato per sempre il “piccolo grande toscanaccio” – come ebbe a definirlo il Tg3 nel relativo servizio filmato – dalla duplice statura: bassa a livello fisico, ma elevata (molto elevata) a livello politico. E’ stato giustamente ricordato il trentennale della morte di un altro grande italiano, Leonardo Sciascia, ma allora dispiace ancor di più che non sia stato fatto per questo altro anniversario in cifra rotonda, a meno che non ci sia sfuggito qualche tg nazionale e allora chiediamo venia. Fanfani lo merita per la caratura di uomo, prima ancora che per le tante cariche ricoperte in vita e per la sua straordinaria carriera. E non parliamo con spirito campanilistico, solo perché si tratta di un uomo che, partito da Pieve Santo Stefano (il paese natale) e formatosi culturalmente a Sansepolcro, Urbino e Arezzo, è poi approdato a Roma nelle stanze dei palazzi che contano. Chi è stato Amintore Fanfani? Era intanto uno storico dell’economia e dell’arte, docente universitario di storia delle dottrine economiche interpellato persino dagli Stati Uniti grazie all’opera scritta “Cattolicesimo e Protestantesimo nella formazione storica del capitalismo”, nella quale propose una coraggiosa interpretazione dei fenomeni di genesi del capitalismo, con particolare riferimento al condizionamento dei fattori religiosi. E lui era ovviamente religioso, che con il tempo è entrato in politica, nelle file della Democrazia Cristiana, sotto la spinta determinante di Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira. In pochi vantano un curriculum politico-istituzionale come il suo: tre volte presidente del Senato, cinque volte presidente del Consiglio dei ministri fra il 1954 e il 1987 quando, all'età di 79 anni e 6 mesi, divenne il più anziano Capo del Governo della Repubblica Italiana; due volte segretario della Democrazia Cristiana e anche presidente del partito, Ministro degli affari esteridell'interno e del bilancio e della programmazione economica. Dal 1972 è stato senatore a vita. Gli è mancata solo la presidenza della Repubblica Italiana, obiettivo sfiorato nel dicembre del 1971, quando alla fine le volontà vennero a convergere su Giovanni Leone. La sua azione politica è stata importante: è considerato, insieme ad Aldo MoroPietro NenniGiuseppe Saragat ed Ugo la Malfa, uno degli artefici della svolta politica del centrosinistra, con cui la Democrazia Cristiana volle avvalersi della collaborazione governativa del Partito Socialista Italiano. Sua è anche la formula che apre la Costituzione: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Fanfani è dunque a pieno titolo nella storia del nostro Paese, anche se lui agli appellativi di senatore, ministro e presidente ne preferiva un altro: statista, ovvero uomo con il senso dello Stato. Una figura che purtroppo oggi è in via di estinzione e che spiega abbondantemente la crisi qualitativa alla quale è andato incontro il livello attuale della politica italiana. Di Fanfani, però, vorremmo ricordare anche la profonda coerenza e onestà intellettuale, in nome della quale ha accettato anche grandi sconfitte (su tutte, il referendum sul divorzio del 1974), ma che proprio grazie ad essa ha mantenuto alto il proprio profilo, scomparendo a tratti per poi tornare in auge, tant’è che gli avevano affibbiato il nomignolo di “Arieccolo!”. E quando nel 1992 è scoppiato lo scandalo di “Mani pulite”, lui è stato uno dei pochi a rimanere “illibato”: evidentemente, un motivo ci sarà stato. Alla sua terra di origine, la Valtiberina, è rimasto sempre profondamente legato e non soltanto per la presenza dei parenti. Di lui è doveroso ricordare le case popolari Ina, l’istituto forestale di Pieve, che oggi reca il suo nome assieme a quello di Alberto Maria Camaiti e non ovviamente Autostrada del Sole e ferrovia, il cui flesso di itinerario all’altezza di Arezzo è passato ai posteri come appunto la “gobba” di Fanfani. Quando tornava da Roma, Fanfani andava di persona nelle locali sezioni della Dc per controllare lo stato di salute del partito e durante le campagne elettorali era capace di tenere anche dieci comizi al giorno. Il 29 giugno 1991, Sansepolcro gli ha conferito la cittadinanza onoraria, legittimando il ruolo del politico più autorevole espresso dall’intero ambito dell’Aretino. Una personalità della quale andar fieri anche oggi. Più volte ci siamo domandati: quando tornerà un altro Fanfani in Valtiberina? Mai dire “mai”, ma non sarà facile.

Claudio Roselli

  

Redazione
© Riproduzione riservata
20/11/2019 15:25:20


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