Ambiente Clima

25 mila atolli, dalle Maldive alla Polinesia, sono destinati a scomparire in meno di cento anni

Colpa dell'innalzamento dei mari e del moto ondulatorio che presto supererà le barriere coralline

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Addio atolli corallini, isole basse e sabbiose ricoperte di palme, piccoli paradisi per vacanze selvagge ed extra lusso. Entro il 2100 non esisteranno più, almeno non come le conosciamo adesso. Colpa dell'innalzamento dei mari e del moto ondulatorio che presto supererà le barriere coralline che proteggono 25 mila luoghi da sogno. 

A fare questa proiezioni su vasta scala è uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances dall'United States Geological Survey, agenzia scientifica del Governo degli Stati Uniti, che ha calcato che in soli 40 anni centinaia di atolli diventeranno inabitabili a causa dei frequenti danni alle infrastrutture causati dalle mareggiate e dell'incapacità delle loro falde acquifere di acqua dolce di rigenerasi. 

C'è da dire che lo studio si basa su un'analisi delle onde che si riversano su un'isola altamente militarizzata, che non assomiglia di certo ad un atollo per lune di miele, vale a dire Roi-Namur delle isole Marshall, nel Pacifico centrale. Ma secondo i ricercatori, lo stesso destino accomuna ben 25 mila strisce di terra, destinate ad inabissarsi a causa del riscaldamento globale. 

Ad essere colpite dalle onde sempre più alte saranno Maldive, Seychelles, Hawaii e Polinesia Francese, da Bora Bora a Raiatea, così come le Isole Cook, le Caroline della Micronesia e le Sporadi Equatoriali.  

Secondo l'autore Curt Storlazzi, intervistato da Live Science, anche solo con l'aumento di un metro del livello del mare le onde saranno in grado di spazzare via interi atolli, causando prima di tutto la loro inabitabilità. E ciò «potrebbe verificarsi entro il 2100, o già entro il 2055 sotto modelli più pessimistici che coinvolgono il crollo della piattaforma artica». 

Le inondazioni non sono una novità per molti degli atolli presenti nel Pacifico. Ma «se questo accade ogni 20 anni le comunità hanno il tempo di riprendersi dagli effetti delle inondazioni». Se invece questo iniziasse ad accadere una volta all'anno, non sarebbe più sostenibile: «Le piante morirebbero, l'acqua dolce non avrebbe il tempo di tornare e le persone non saranno in grado di riparare i danni provocati dalle inondazioni, quindi semplicemente se ne andranno».  

Non tutto il mondo scientifico concorda sui tempi e su una visione così pessimistica. Virginie Duvat dell'Università di La Rochelle, ad esempio, si ritiene «più prudente. Sino ad oggi molti atolli sembravano essersi adattati bene all'innalzamento del livello del mare. Ciò non significa che i residenti di queste isole abbiano un futuro brillante ma non possiamo prevedere con certezza quello che accadrà su ogni terra emersa, soprattutto non in tempi così lunghi, pensando che le condizioni attuali proseguiranno con lo stesso trend». In effetti, potrebbero anche peggiorare. 

La Stampa
© Riproduzione riservata
06/05/2018 19:19:37


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