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Valtiberina sismica: ma sotto i nostri piedi in Alta Valle del Tevere cosa c’è?

Ne abbiamo parlato con il Dottor Thomas Braun, ricercatore dell’INGV di Arezzo

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Spesso è la curiosità ad alimentare l’interesse in un determinato argomento. Prati verdi, terreni coltivati o specchi d’acqua di profondità ignota. Ma sotto i nostri piedi in Alta Valle del Tevere cosa c’è? Immaginiamo per un attimo che questo angolo di centro Italia, al confine tra Toscana e Umbria, sia chiuso da una grande lastra di vetro dove poter vedere al dì sotto. Quale sarebbe l’immagine che appare ai nostri occhi? Per rispondere a questa domanda abbiamo interpellato il Dottor Thomas Braun, ricercatore dell’INGV di Arezzo; acronimo che sta ad indicare l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia la cui sede aretina è nella suggestiva location di Villa Severi. Sotto di noi c’è la faglia sismica Altotiberina che si estende in direzione appenninica e si emerge verso nord-est, arrivando all’incirca a 8-10 chilometri di profondità e che si è formata circa 700.000 anni fa. Per utilizzare una similitudine piuttosto elementare possiamo dire essere come un “serpente” lungo da Pieve Santo Stefano fino ad arrivare a Perugia. Talvolta è dormiente, ma solo all’apparenza, mentre in altri momenti si muove e di conseguenza innesca un evento sismico che può avere magnitudo, ossia un rilascio di energia più o meno variabile con, ovviamente, conseguenze variabili. In alcuni casi anche la popolazione stessa può avvertirlo mentre in altri è possibile farlo solamente attraverso gli strumenti sensibili della rete sismica nazionale.

Per far questo, però, siamo partiti dalle base. Dall’analizzare una parola utilizzata nel linguaggio quasi quotidiano che al tempo stesso deve però trovare un significato scientifico. La parola in questione è terremoto. Di fatto è un improvviso e rapido scuotimento della crosta terrestre: questa l’affermazione più comune trovata nei motori di ricerca online. Ma il Dottor Braun cosa dice? “Si, il concetto è giusto. Un terremoto si verifica nel momento in cui due volumi di roccia si spostano relativamente a causa di una rottura, più o meno marcata, della crosta terrestre che avviene quando lo sforzo esterno – in quel caso tettonico – supera la coesione del materiale. Questa rottura rilascia istantaneamente tutta l’energia accumulata nel tempo sotto forma di onde sismiche (lo scuotimento)”. Mentre spesso sentiamo parlare anche di ‘scosse di assestamento’. “Sappiate che questo è un termine fuorviante, seppure mi rendo conto che è molto utilizzato. Quelle che comunemente vengono chiamate ‘scosse di assestamento’ sono scosse, appunto, che aiutano a ristabilizzare un equilibrio nel campo di stress dove è avvenuta la rottura. L’esempio più chiaro è quando si getta un sasso nel lago: l’impatto è uno solo, ma si creano dei cerchi concentrici che hanno poi il compito di ristabilizzare quella quiete che regnava nello specchio d’acqua”. Ma dobbiamo arrivare a quello che poi è il punto cruciale della nostra inchiesta. Cerchiamo di indossare una maschera immaginaria (ovviamente non esiste nella realtà), saliamo qualche scalino e poi chiniamo il capo verso il basso: a questo punto cosa avremo davanti ai nostri occhi? “La domanda è bella, impegnativa al tempo stesso e mi rendo conto possa destare anche una certa curiosità. Però, la situazione è piuttosto complessa. La faglia dominante è quella Altotiberina ed è già una eccezione per la sua conformità: è a basso angolo, simile ad un pendio di una montagna poco ripido.  Andando ad esaminarla nei dettagli parte da nord di Pieve Santo Stefano e arriva tra Città di Castello e Umbertide, ci sono teorie che la portano anche più distante ma non addentriamoci su questo argomento. L’Altotiberina, al tempo stesso, la possiamo dividere in due fronti tenendo conto che parliamo sempre di una faglia attiva: nella zona dell’Umbria compresa tra Città di Castello, Pietralunga e Umbertide c’è una attività di microsismicità quindi scosse continue, tendenzialmente di magnitudo molto basse, raramente avvertite dalla popolazione. Più a nord, invece, nell’area tra Pieve Santo Stefano e Monterchi i rilasci di energia sembrano meno frequenti seppure con eventi talvolta più importanti. Indicativamente la faglia Altotiberina si estende fino ad una profondità di 8-10 chilometri e i terremoti avvengo tra i 3-4 chilometri e i 8-10; in superfice non c’è sufficiente peso del volume roccioso sovrastante e quindi l’inizio della ‘rottura’ avviene per forza più in profondità. Tenete conto che nell’ambito di un apposito progetto chiamato TABOO, sono attive almeno 40 stazioni sismiche dell’INGV che monitorano costantemente la faglia Altotiberina”. Il Dottor Thomas Braun continua. “L’Altotiberina è una faglia che viene definita a basso angolo, vale a dire che, partendo dalla superficie, la rottura prosegue in profondità lungo un piano poco inclinato. Teoricamente tali faglie non dovrebbero essere sorgenti di forti terremoti eppure la storia e le evidenze geologiche ci dicono il contrario. Le fonti storiche ci raccontano di terremoti avvenuti in quest’area e in alcuni casi anche di magnitudo pari a 6 come nel 1352 e nel 1917 con epicentro nell’area di Monterchi. Nel 2019 abbiamo pubblicato un lavoro il quale suggerisce che la sorgente del terremoto del 1917 non sia associabile alla faglia Altotiberina ma, recentemente, studi geologici lungo la faglia hanno riconosciuto almeno nove eventi sismici negli ultimi 22000 anni, con magnitudo maggiori o uguali a 6, l’ultimo dei quali associato al terremoto del 1458 che danneggiò principalmente l’area di Città di Castello. Questo per dire che l’Alta Valle del Tevere è una zona sismica dove si sono verificati terremoti anche in epoca recente, seppure non particolarmente forti come il 30 aprile 1957 a Pieve Santo Stefano di magnitudo 4.0, poi a Sestino il 15 aprile del 1960 con magnitudo 4.2 e ancora a Chiusi della Verna il 10 agosto del 1969 avente magnitudo 4.1 seppure il più importante degli ultimi cento anni rimane, oltre al già citato di Monterchi, quello del 13 giugno 1948 registrato a Sansepolcro con magnitudo 5.0. Fu un evento sismico che causò danneggiamenti a numerosi edifici a Pieve Santo Stefano e Sansepolcro, più lievi a Città di Castello ma è stato ampiamente risentito in tutta l’Umbria settentrionale. “Le caratteristiche sismiche dell’Appennino – prosegue il Dottor Thomas Braun – sono quelle di avere un regime tettonico estensionale questo vuol dire, in pratica, che per esempio Sestino da Arezzo si allontana di circa 1-2 millimetri l’anno. È comunque una velocità di spostamento limitata rispetto, per esempio, a quello che accade a San Francisco dove la situazione è molto più complessa”.

PERCHÉ NON SI PREVEDE UN TERREMOTO

“Le dinamiche all’interno della crosta terrestre sono una cosa molto complessa. Non si conoscono con alta precisione le posizioni delle faglie, né tantomeno i suoi parametri delle condizioni fisico-chimiche su tutto il piano di fascia. Sono per esempio i fluidi, che determinano in primis coesione e attrito sulla faglia – puntualizza Braun – si possono fare delle ipotesi, ovviamente su quelli che sono dei dati certi. Con metodi moderni come per esempio i GPS, possiamo misurare lo spostamento dell’Appennino, con metodi geologici possiamo stimare la magnitudo massima ma non possiamo sapere con precisione necessaria quando avviene il prossimo terremoto perché i parametri che bisognerebbe conoscere sarebbero davvero tanti”. Quando avviene un evento sismico la prima cosa che facciamo è quella di andare a vedere la sua magnitudo, ovvero la quantità di energia che viene sprigionata, ma come viene calcolata? “E’ un rapporto adimensionale. L’ampiezza misurata di un terremoto viene poi comparata con un terremoto standard, subentra poi un rapporto logaritmico, comparabile alla ‘Magnitudine’ in uso per la misura della luminosità delle stelle. L’esempio che facciamo sempre è quello relativo agli spaghetti ed il famoso ‘fattore 32’. Questo per dire che se la rottura di uno spaghetto corrisponde per esempio ad una magnitudo 4.0, l’incremento di una magnitudo 5.0 sarà uguale ad una maggiorazione dell’energia di un fattore 32; quindi 32 spaghetti rotti tutti nello stesso momento dell’energia sismica. Volendo continuare questo esercizio, una magnitudo 6.0 corrisponde ad un numero di spaghetti 32 volte più alta rispetto alla magnitudo 5.0, e quindi ad un terremoto 32*32=1000 volte più energetico confrontandolo con la magnitudo 4.0”.

PREVENZIONE, TUTTO IN UNA PAROLA

“E’ un fattore importantissimo. Mentre in altri Paesi come per esempio in Giappone, in caso di terremoto si osserva una disciplina comportamentale enorme a rimanere all’interno dell’edificio, qua in Italia tutti corrono fuori dopo ogni scossa perché non si sentono sicuri all’interno del proprio nido domestico. Non è il terremoto che uccide, ma sono le case. Per questo ripetiamo continuamente che occorre introdurre sempre più una cultura della prevenzione che possa portare a costruire abitazioni più sicure. Con i suoi studi l’INGV contribuisce in maniera cruciale a parametrizzare la pericolosità sismica a livello nazionale e fornisce indicazioni sulle massime accelerazioni da aspettarsi. È vero che abbiamo anche un patrimonio storico incredibile che non è facile ristrutturare ma le moderne tecnologie e i nuovi materiali possono sicuramente dare una grossa mano”.

Notizia tratta dal periodico l'Eco del Tevere
© Riproduzione riservata
10/04/2024 11:40:59


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