L'uomo della Valtiberina a cui è stato amputato il pene chiede un risarcimento di 400mila euro

Errore sulla diagnosi non corrispondente alla reale patologia: era sifilide e non un tumore
L’uomo residente in Valtiberina al quale un urologo dell’ospedale San Donato di Arezzo ha amputato il pene in seguito ad una diagnosi non corrispondente alla reale patologia - era sifilide, non tumore - è al centro di un caso tanto singolare quanto doloroso ed imbarazzante. L’articolo del collega Luca Serafini pubblicato nel Corriere di Arezzo ha fatto il giro dei giornali e delle tv di tutta Italia Lo studio legale Bianchi, di Città di Castello, protegge le generalità dell’uomo, classe 1954, residente in Valtiberina toscana, che non vuol andare in pasto ai media, mentre conduce la sua battaglia legale su due piani: quello penale, che vedrà il 9 marzo il medico autore della diagnosi e dell’operazione comparire davanti al gup di Arezzo Claudio Lara per l’udienza preliminare (l’accusa è lesioni colpose gravissime); e quello civile, con l’Asl citata per danni per responsabilità oggettiva nella menomazione del paziente che si era affidato alla struttura sanitaria per le cure. La prossima udienza civile è in programma a metà settembre con una richiesta di risarcimento - basata su tabelle ed età anagrafica - ancora non precisata nel dettaglio me che si aggira sui 400 mila euro. L’urologo, specialista in andrologia, classe 1987, G.P. le sue iniziali, è originario del nord e non è più all’ospedale di Arezzo, si è trasferito a Milano. Ottime referenze, giovane, stimato, all’epoca dei fatti - 2018 - era nei ranghi della Asl Toscana Sud Est.
La responsabilità medica che gli viene contestata è quella di aver proceduto all’intervento chirurgico demolitorio (glandulectomia) senza che vi fosse certezza, con biopsia, dell’esistenza di una patologia tumorale. Era l’ottobre 2018 quando ci fu ad Arezzo la visita specialistica dopo che il sessantenne della Valtiberina si era recato dal medico curante manifestando problemi al pene. Un rigonfiamento sospetto. Gli fu consigliato di affidarsi ad un esperto urologo e così fece.
Ma la visita dall’urologo si sarebbe risolta con una palpazione, lamentano i legali del paziente, che sono Roberto Bianchi, Gianmarco Bianchi e Antonino Belardo. Il mese successivo il bisturi, inesorabile, entrò in azione, con l’amputazione della porzione terza distale del pene.
Soltanto dopo, a cose fatte, i referti degli esami istologici sui tessuti prelevati evidenziarono l’assenza del tumore. E un esame eseguito a Città di Castello indicò la vera problematica: sifilide. Che si poteva curare senza quell’irrimediabile taglio. All’uomo, oggi 69enne, è preclusa l’attività sessuale e la quotidianità gli pone difficoltà anche per la minzione. Senza considerare le conseguenze psicologiche. Danno biologico del 40%, danno morale e inabilità temporanea. La figlia potrebbe costituirsi parte civile nel processo penale.
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