Ambiente Clima

Il Monte Bianco ora è grigio, e il termometro non si ferma

La terra verso la catastrofe

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Il Monte Bianco? Forse dovremo cominciare a chiamarlo il Monte Grigio. Quella abbagliante distesa di ghiaccio che ne coronava la cima non c’è più. Il luccicante Mer de Glace, il ghiacciaio più celebre, è oggi grigio, con qualche striatura nera e le foto scattate in questi giorni mostrano che l’immacolata superficie, liscia come una palla da biliardo è, invece,  tormentata e scavata in lunghe scanalature. La consuma il caldo: sulla cima del Bianco, in questa stagione, ci dovrebbero essere 0 gradi, invece siamo arrivati a più 7. E’ l’ennesimo disperato campanello d’allarme sulla salute del pianeta. Due settimane fa era scattato quello dei ghiacciai della Groenlandia. Ma potremmo sentirne uno altrettanto allarmante se scendessimo nelle profondità di oceani sempre più caldi.

IL TERMOMETRO NON SI FERMA

Non c’è nessuna sorpresa. I bollettini che arrivano dalle grandi istituzioni di ricerca e monitoraggio del clima segnalano una litania di record al negativo, nella spirale ininterrotta e incontestabile fra effetto serra e riscaldamento globale. Nel 2018, avverte l’American Meteorological Society, la concentrazione dei gas che imprigionano il calore sulla superficie terrestre (l’anidride carbonica, ma anche il metano) ha raggiunto il livello massimo mai registrato: 407,4 parti per milione, contro le 405  del 2017. Erano 380 prima della rivoluzione industriale, 450 è la quota in cui perderemo la possibilità di riportare sotto controllo l’effetto serra. Andando indietro di 800 anni (grazie all’analisi del ghiaccio dell’Antartide) non si era mai raggiunto questo livello. Il riscontro sulle temperature è immediato: a livello globale (una media fra mare, più fresco, e terra, più calda) il termometro è salito di 0,3-0,4 gradi centigradi, rispetto alla media del trentennio 1981-2010. Da metà ‘800 (ovvero da quando abbiamo cominciato a misurarli) a oggi, ci sono stati solo tre anni più caldi. In Europa, solo uno dal 1950.

IL 2019 SARA’ PEGGIO

Eppure, basta guardare alle ultime settimane per capire che il 2019 sarà peggio. La Nooa (l’agenzia climatologica Usa) annuncia quello che avevamo già sentito sulla nostra pelle: il luglio 2019 è stato il luglio più caldo mai registrato (finora) sul pianeta, battendo il record di tre anni fa. Ma il senso di un mutamento climatico travolgente si ha da un altro dato: i cinque mesi di luglio più caldi mai registrati sulla Terra sono esattamente quelli degli ultimi cinque anni. Caldo quanto? La temperatura media globale registrata il mese scorso è stata di 16,7 gradi centigradi. Se vi sembra fresco è perché non considerate che nella metà australe del pianeta (che è anche quella con più mare e, dunque, tendenzialmente comunque meno calda) luglio è il picco dell’inverno. Ciò che conta è che 16,7 gradi è quasi un grado in più della media registrata nel ventesimo secolo.

LA TERRA STA PERDENDO LE PIANTE

L’elenco delle catastrofi che questo mondo sempre più caldo ha in serbo per noi è ormai lunghissimo: siccità, alluvioni, estinzione di intere specie animali, desertificazione dei mari, rischio di svuotamento di un anello fondamentale della catena alimentare, come gli insetti. Ma non finisce qui: questi anni roventi stanno ammazzando anche le piante, ad un ritmo più veloce di quello che pensavamo.

Qui non si tratta degli incendi o della deforestazione sistematica. Una recentissima ricerca dell’università cinese di Guangdong chiama in causa un aspetto non scontato: il ciclo dell’anidride carbonica e, dunque, il cruciale processo di fotosintesi. Non scontato, perché un aspetto molto discusso – ma, in linea di principio, positivo – dell’effetto serra è che l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera favorisce la produttività delle piante (quelle che sopravvivono a siccità e alluvioni, certo). Ma, per sfruttare la maggiore quantità di CO2, bisogna andarla a prendere. Ed è questo, dicono gli scienziati cinesi, che sta avvenendo sempre meno. La responsabilità è del delicato meccanismo che governa il rapporto tra la quantità di vapore acqueo nell’atmosfera e l’assorbimento dell’anidride carbonica da parte delle piante.

LA POMPA ATMOSFERICA

Il parametro chiave è la differenza fra la quantità massima di vapore acqueo che può contenere un metro cubo di aria (cioè il punto in cui parliamo di saturazione) e quella che effettivamente c’è. Più alta la differenza (Vpd, nel gergo degli scienziati), più forte la pressione ad estrarre acqua dalle piante. In altre parole, se si rompe l’equilibrio e la differenza fra umidità potenziale ed effettiva sale troppo, la Vpd agisce come una sorta di pompa, che tende a disidratare le piante. Che c’entra il riscaldamento globale? Più alta la temperatura, più alto il livello di saturazione, ovvero maggiore la quantità di acqua che può entrare in un metro cubo d’acqua, quindi la Vpd e, dunque, la pompa che disidrata le piante. Che reagiscono e difendono l’umidità interna, chiudendo le proprie aperture verso l’esterno, Ma,così, rinunciano a crescere, negandosi la CO2, bloccando la fotosintesi, e, di fatto, la catena alimentare.

Complicato, ma tutt’altro che teorico. La Vpd sta aumentando, negli ultimi decenni, sempre più velocemente. Dalla fine degli anni ’90, il 60 per cento circa delle aree verdi del pianeta ha sperimentato, grazie all’aumento della temperatura, una crescita della differenza fra livello di saturazione e livello effettivo. L’allarme Vpd potrebbe essere uno dei più drammatici dell’emergenza clima.

Notizia e Foto tratte da Tiscali
© Riproduzione riservata
18/08/2019 13:00:49


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