Rubrica Curiosità

Quando l’acquavite poteva medicare

Ma era solo leggenda che servisse ad avere figli maschi

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Può stupire che il primo ad aver stampato un libro sull’acquavite sia stato il nonno di Gerolamo Savonarola, l’ascetico predicatore ferrarese bruciato in Piazza della Signoria a Firenze, nel 1498.

Tuttavia, Michele Savonarola non era certo un beone, bensì un noto medico che aveva avuto i suoi natali a Padova nel 1348. Fu autore di numerosi trattati di medicina, in particolare di balneologia e dietetica;  girò l’Italia finché, raggiunta la fama, non divenne il medico della corte estense a Ferrara. Proprio «al divino marchese Leonello d’Este» dedicò il suo volumetto «Libellus de aqua ardenti» edito a Pisa nel 1484, testo rarissimo dal punto di vista antiquariale che spiega come la distillazione per vari secoli sia stata un processo dedicato soprattutto alla farmacopea e alla profumeria.

Spiega Alessandro Francoli, chimico e storico dell’enologia che ha ripubblicato a sue spese il Libellus: «In effetti, a Cipro, presso gli scavi di Pyrgos dove era emerso una sorta di polo industriale risalente al 2000 a.C., è stato identificato un laboratorio di profumeria nel quale sono stati trovati grandi vasi forniti di un becco laterale. La loro forma è simile agli alambicchi utilizzati in Grecia e nel mondo arabo per l’estrazione degli oli essenziali tramite distillazione. Tuttavia, il primo a darci notizie certe sul processo di distillazione - per come lo conosciamo - è il medico greco Dioscoride vissuto nel I sec. d. C. che descrive una sorta di pallone che chiama ambix» (da cui poi verrà la parola alambicco) e una serpentina detta “solenoide» per il raffreddamento dei vapori.

Nel mondo arabo vi saranno notevoli progressi nell’arte della distillazione, soprattutto per l’estrazione dei più comuni oli essenziali  - come menta e lavanda - destinati alla profumeria. Per la distillazione alcolica vera e propria bisognerà aspettare, invece, la “Scuola salernitana”, la prima e più importante istituzione medica d'Europa nel Medioevo (IX secolo) che, fondata sulla sintesi della tradizione greco-latina completata da nozioni provenienti dalle culture araba ed ebraica, è considerata da molti come l'antesignana delle moderne università. Tuttavia, per altri 400 anni, la distillazione alcolica sarà ancora praticata per realizzare solo farmaci e aromi. La nascita dell’arte liquoristica italiana, è invece da ascrivere alla fiorentina Caterina de’ Medici che la esporterà in Francia nella prima metà del ‘500. In un certo senso “ ci siamo fatti soffiare” dai francesi quel patrimonio di nuove e promettenti esperienze».

Per acquavite, ancor oggi si intende una qualsiasi bevanda alcolica da alta gradazione (con una percentuale variabile fra il 40 e il 60 % di alcol) ottenuta per distillazione di liquidi zuccherini fermentati. Si ricava dal vino (cognac), dalle vinacce (grappa) dal sidro ottenuto da vari frutti (calvados, prunella, kirsch) dalla melassa di canna da zucchero (rum), da mosti fermentati di sostanze amidacee (whisky, vodka).

Al tempo del Libellus de aqua ardenti le indicazioni erano in gran parte ancora terapeutiche. Alcune per uso esterno erano abbastanza sensate, altre completamente campate in aria, come avveniva per gran parte degli antichi medicamenti.

«C’è un punto – continua Francoli – in cui Savonarola suggerisce, per i febbricitanti, di versare acquavite su delle pezzuole da apporre sulla fronte e su altre parti del corpo. Una giusta intuizione, dato che la maggiore evaporazione dell’alcol, infatti, produce un effetto refrigerante di gran lunga superiore a quello dell’acqua. Anche per i massaggi era indicata l’acquavite in quanto l’alcol, essendo un vasodilatatore, favorisce l’apertura dei pori, tanto che oggi è ancora impiegato in alcune creme. Se ne era anche intuito il potere disinfettante per le ferite, il mal di denti e le pustole del viso, pur essendo ancora molto al di là da venire la scoperta dell’antisepsi. Lo stesso dicasi per il suo potere conservante, tanto che ancor oggi conserviamo numerosi alimenti sotto spirito. Per altre indicazioni, il Savonarola era completamente fuori strada, così come quando raccomandava l’aqua ardente per la ricrescita dei capelli, per avere figli maschi, o a beneficio del fegato».

Nel suo completissimo libello, Michele Savonarola trattava anche degli effetti collaterali e dei danni provocati dall’aqua ardente: «La evitino i temperamenti collerici, i giovinetti e chi è dotato di forte calore innato o risultante. Per cui, i sofferenti di stomaco soprattutto se per troppo calore, ne prendano con grande cautela. Stia dunque attento a tutto ciò chi consiglierà a un altro di berne».

La distillazione dell’epoca, tuttavia, ancora non riusciva a raggiungere la concentrazione dell’alcol puro di oggi, a oltre 90°. Possiamo desumere che, per poter prendere fuoco, l’aqua ardente dovesse arrivare a  un minimo di 40/45°. Con ulteriori distillazioni del prodotto si potevano raggiungere al massimo i 60°/70°, ma per le concentrazioni odierne bisognerà aspettare il 1813 con l’invenzione della «colonna di distillazione» ad opera del fiorentino Baglioni. Questo macchinario consente, infatti, di rettificare e concentrare un distillato varie volte durante la stessa operazione di riscaldamento.

Per molto tempo prima di diventare un genere voluttuario, l’acquavite fu quindi considerata un medicamento, somministrato a volte in associazione con altri, quasi una panacea universale. Concettualmente se ne impadronirono gli alchimisti medioevali riconoscendo in questo liquido la famosa «quintessenza», di derivazione astrale, che già Aristotele aveva aggiunto ai quattro elementi conosciuti: acqua, aria, terra e fuoco. Si riteneva che l’origine di tale quintessenza e del suo calore fosse il sole che appunto fa crescere la vite. Scriveva a proposito dell’aqua ardente l’alchimista duecentesco Raimondo Lullo: «Quotidianamente s’imbeve dell’umidità celeste e si esprime, mediatore il sole, attraverso i grappoli dell’uva».

Notizia e Foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
19/07/2019 15:24:43


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