Delitto Alice Scagni, la telefonata del padre alla polizia
“Perché non intervenite? E se quando esco mi taglia la gola?”
La voce di Graziano Scagni che risuona nel telefono della centrale operativa della polizia è esausta: «Ma perché dopo le minacce che ho ricevuto ma perché non fate un intervento? Un intervento a casa di mio figlio». E l’operatore della centrale di polizia risponde: «Ho capito, ma noi non possiamo arrestarlo, non funziona come dice lei. Non ha fatto nemmeno una denuncia contro suo figlio». E quando più volte l’agente lo invita a ricontattare il 112 se il figlio dovesse citofonare e minacciarli sotto casa - «Lo veniamo a prendere», «Voi state a casa siete al sicuro e non c’è nessuno, lei e sua moglie» - Graziano Scagni fa la domanda più semplice che gli venga in mente: «Io esco... ma se mi taglia la gola mentre sono fuori?». E l’agente: «Guardi, non sappiamo il futuro noi… Non è che noi non vogliamo... Le vogliamo dare tutto l’aiuto possibile». Ma, ripete, «il primo passo è fare denuncia». Stralci di una conversazione drammatica, inframezzata da tre lunghe pause in cui l’operatore parla con il capo della centrale operativa.
Sono le 13.29 del primo maggio scorso e il figlio di Graziano, Alberto Scagni, 42 anni, ha appena chiamato il padre, minacciandolo di morte e di “andare a fare del male” alla sorella Alice, 34 anni. La sera dello stesso giorno, Alberto ucciderà con più di venti coltellate Alice. Sotto l’abitazione di via Fabrizi, a Quinto, dove la donna abitava con il marito e il figlioletto.
Questa chiamata è il disperato grido d’aiuto di una coppia di genitori spaventati da giorni di minacce e gesti intimidatori da parte del figlio. Ma è anche alla base delle accuse che questi hanno mosso alla polizia. Denunciando quelle che, a loro avviso, sono state l’inerzia e le omissioni che hanno impedito di salvare la vita alla figlia Alice. Perché l’assunto dei genitori, assistiti dall’avvocato Fabio Anselmo, è sempre stato lo stesso: se la polizia fosse intervenuta, dopo l’escalation di violenza da parte di Alberto nei giorni precedenti il delitto e nella stessa giornata dell’omicidio, la tragedia non sarebbe avvenuta. E questo per la madre, Antonella Zarri, e il padre della vittima e dell’assassino, vale anche per il servizio di igiene mentale di Genova. Che, a detta loro, non si era mosso in maniera rapida ed efficiente per prendere in carico Alberto e disporre un eventuale trattamento sanitario obbligatorio.
Dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari sul delitto notificato dal sostituto procuratore Paola Crispo, l’audio di questa telefonata è stato messo a disposizione delle parti. E Il Secolo XIX, che ne è venuto in possesso, lo pubblica ora sul proprio sito internet.
Dalle accuse dei genitori è nata una seconda inchiesta, tuttora aperta, che vede indagati l’operatore e il referente della centrale operativa della questura, oltre alla dottoressa dell’igiene mentale che stava seguendo il caso di Alberto Scagni.
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