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Yana Malayko, dall’ex fidanzato una mezza confessione dopo due mesi di silenzio

“L’ho colpita con un colpo al petto, non volevo ucciderla”

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Per la prima volta, dopo un mese e mezzo dal fermo per omicidio, Dumitru Stratan ha rotto il silenzio con gli inquirenti. Alle 15.30 dell’8 marzo ha ammesso di aver ucciso l’ex fidanzata Yana Malayko, il cui corpo è stato ritrovato il primo febbraio a dieci giorni dalla scomparsa da Castiglione delle Stiviere. Una mezza confessione resa ai pm di Mantova nell’interrogatorio da lui stesso richiesto. Nei precedenti si era sempre avvalso della facoltà di non rispondere. 

«Non volevo, l’ho colpita con una mano una sola volta allo sterno per allontanarla in un momento in cui eravamo vicini», ha raccontato il 34enne moldavo in carcere dal 21 gennaio, assistito dagli avvocati Domenico Grande Aracri e Andrea Pongiluppi. «Non mi sono reso conto subito di averla uccisa perché mi ero spostato in un’altra stanza». Una versione che non ha convinto la procuratrice Manuela Fasolato e la pm Lucia Lombardo.

In particolare, per le numerose tracce di sangue trovate dai Carabinieri del nucleo investigativo di Mantova e anche dagli specialisti del Ris in più punti dell’appartamento di Yana al quarto piano del condominio di piazzale della Resistenza. E ancora i lividi tra il volto e il collo sul corpo della ventitreenne incompatibili con un solo colpo al petto. Sui motivi per cui ha nascosto il corpo sotto una catasta di legna in un’area boschiva a Lonato, Stratan non ha fornito dettagli dicendo che non ricordava esattamente quanto accaduto dopo l’omicidio. «La Procura - si legge in una nota - ha contestato all'indagato, a seguito di tale versione dei fatti, le risultanze investigative sinora raccolte agli atti e che appaiono confliggenti con quanto dichiarato dallo stesso ma l'indagato ha ribadito la propria versione dei fatti».

Picchiata a sangue con una spranga di ferro e poi soffocata. Forse con un cuscino. Erano stati questi gli esiti preliminari dell’autopsia. Poi Stratan avrebbe cercato di rinchiudere il corpo dentro un trolley. Valigia che sarebbe stata avvolta da tre strati: il primo in un telo cellophane e il secondo in una coperta di pile e infine in un lenzuolo azzurro. Il grosso fagotto - per gli investigatori - che il killer, ripreso tra le 5.13 e le 5.14 all’alba del 20 gennaio dalla telecamera nell’androne del palazzo, ha trascinato verso il cortile interno e il box del «grattacielo».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
09/03/2023 20:24:49


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