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San Pancrazio a Sestino: la festa e l’arte sacra

La pieve di S.Pancrazio ha mostrato la sua “ vecchiaia”: crepe, intonaci cadenti e umidità

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Sestino ha celebrato il 12 maggio, festa di San Pancrazio martire, il suo patrono, dopo un periodo di ristrettezze dovute al Covid. Chiamati dall’arciprete don Piero Mastroviti, hanno festeggiato insieme alla comunità locale, sacerdoti di origine sestinate, come don Franco Alessandrini, don Quinto Giorgini, don Arialdo Ruggeri – sestinate di adozione - don Giancarlo Gatteschi di Badia Tedalda e don Alessandro Bivignani, di Anghiari, che ha presieduto la solenne concelebrazione. 

Come da programma, anche i giovani del corso di catechismo hanno partecipato allegramente, con appositi giochi; una “agape fraterna” sul sagrato della pieve ha fatto da “occasione” sociale per riprendere il gusto dello stare insieme.

La ricorrenza ha portato l’attenzione doverosamente sulle effigi di Pancrazio, al cui altare si è conclusa la festa religiosa.

Oggi si discute molto sull’ arte sacra (ricordo le riviste “Luoghi dell’Infinito”, “Chiesa oggi. Architettura e comunicazione” e, per la cronaca, la pagina “Nelle diocesi è una primavera d’arte”, in “Avvenire” del 19 aprile 2022).  Non ovunque e non sempre essa – l’arte sacra che riempie le nostre città, i nostri paesi anche i più sperduti - ricopre quel ruolo che è stato l’abbecedario- spesso- di una alfabetizzazione del sacro, quando scrivere e leggere erano miracoli assai rari.

San Pancrazio, nella pieve, è rappresentato da un pregevole stendardo processionale e da una grande tela che sovrasta l’altare omonimo: opera della bottega di Getano Lapis, ricordata nelle visite pastorali del 1756. Ma già documenti d’archivio testimoniano che nel 1650 un certo Andrea Angelini aveva fondato la cappella di San Pancrazio, come si può leggere dettagliatamente nel quaderno “L’arte ritrovata. Restauri nella Pieve di San Pancrazio” (1993). Erano anni di un diffuso fervore per la cultura, la religiosità, l’economia, il turismo per l’ambito sestinate e appenninico. La Pieve era il fulcro di molti interventi anche conservativi, che non dovrebbero finire mai, perché collegati ad una situazione archeologica e di fragilità delle basi, calate su strutture di edifici del periodo romano, come la “Curia augustea”, sede amministrativa e religiosa del municipium dei Sestinates. Seguirono altri interventi, come il recupero di parti di un affresco in un casolare di Valenzano e, soprattutto, il recupero di ben tre strati di affreschi nella chiesa dell’omonimo Castello di San Donato, completati ed esposti nel 2008: luogo che avrebbe dovuto diventare il fulcro dell’arte sacra dell’antico “Piviere nullius” di Sestino. Altri casi che dimostrano l’attenzione a queste problematiche: il completo risanamento dell’edificio e delle opere d’arte della parrocchiale di San Giovanni in Vecchio, i restauri della parrocchiale di Monterone, del quadro dell’Assunta del fiorentino Mascagni e del settecentesco organo dei Fratelli Fedeli di Camerino, sempre a Monterone.

La pandemia che stiamo ancora attraversando forse ha bloccato certe premure ma si è anche cercato di non disperdere risorse vitali, le basi per un futuro da vivere, tanto che raramente come oggi sono stati messi in campo dallo Stato e dalla Regione - la Toscana in questo caso - finanziamenti in molteplici settori. Anche per i piccoli Comuni e le aree interne.

Sestino ha bisogno di turismo e per esso valgono anche gli elementi offerti da una agricoltura che è diventata la “industria” principale dei residenti e che si è modernizzata, come ha dimostrato anche il recente “Festival dei trattori”, ma che deve trovare una sintesi con l’insieme del territorio e una sua specificità.

La pieve di San Pancrazio ha però mostrato, ai molti che hanno partecipato alla festa patronale - la sua “vecchiaia”: crepe, scrostamenti dell’intonaco, umidità, erosione delle antiche pietre dell’abside. Molti quadri, delle purtroppo dismesse chiese, rischiano di essere fagocitati dal tempo inesorabile. E mi tornano alla mente i versi accorati di Tonino Guerra ne “Il libro delle chiese abbandonate”. 

Questi appuntamenti, come quello del 12 maggio, potrebbero portare l’attenzione di tutte le autorità sulla necessità che la spinta religiosa sia nello spirito ma anche nei luoghi  dello  spirito e in quelle forme comunitarie che i nostri antenati - grandi benemeriti - ci hanno lasciato in dono.

Redazione
© Riproduzione riservata
15/05/2022 10:48:38


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