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La fotografia che trasmette emozione nel click del monterchiese Claudio Biancucci

Il ritratto é il vero amore seppure abbia iniziato con la ‘macro’

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Dipendente orafo di professione, ma con una grande passione: la fotografia. È Claudio Biancucci, 57 anni, nato e cresciuto a Monterchi, l’ospite dell’ultimo numero del 2021 della rubrica ‘Passione Fotografia’, nella quale viene messa in evidenza la figura dell’appassionato e non del professionista dello scatto. La sua storia è abbastanza particolare, seppure il furto in giovane età della sua macchina fotografica rischiasse di appannare questa passione: poi una vacanza e un autogrill riaccende la fiammella, tanto da diventare oggi una delle firme più note in Valtiberina. Ha frequentato solamente un corso base di fotografia con gli amici del Centro Fotografico Tifernate, qualche tutorial online e letture di settore: di fatto, però, lui stesso si definisce un autodidatta. Il ritratto, oltre che essere il vero amore, è il suo pezzo forte, seppure abbia iniziato con la ‘macro’ che ancora oggi apprezza. Preferisce lo scatto a colori, ma anche il bianco e nero. C’è un passaggio chiave: fare bianco e nero non significa convertire una foto a colori. La foto deve essere studiata e progettata fin dall’inizio in quella maniera. Mai dire mai se arrivasse una chiamata per un importante reportage nel mondo, seppure sia troppo attaccato al suo territorio. Progetti in cantiere ve ne sarebbero, ma il lavoro – quello di orafo – lo impegna molto: in vista c’è comunque la collaborazione con un’officina di moto da cross per ragazzi disabili.

Quando nasce la passione per la fotografia?

“Diciamo che la curiosità c’è stata fin da bambino quando all’epoca la mia Monterchi, almeno nel centro storico, era molto più viva di adesso e con diversi negozi aperti: la domenica c’era il mercato - quello anche oggi - ma era nel centro storico e mi ricordo che in quell’occasione in un negozio veniva un fotografo di Sansepolcro che aveva parenti qui. Si chiamava Adreani e la gente portava a lui i rullini da sviluppare, poi lui riportava le foto stampate la domenica successiva; con la sua macchina analogica scattava foto a chi le richiedeva. Io ero molto incuriosito da tutto ciò, finché il giorno della mia comunione mi fu regalata la prima macchina fotografica a rullino: ero entusiasta, scattavo a raffica - se così si può dire – perché a quei tempi i rullini erano da 12, 24 o 36 foto. Le prime foto che feci sviluppare sono state una delusione totale: super mosse, scure e cose davvero allucinanti. Poi il ‘fattaccio’, perché l’ho dimenticata sopra un muretto per pochi minuti e la macchinetta è sparita. Oltre alle imprecazioni e ai rimbrotti dei miei genitori, l’amarezza: rimasi malissimo per quella perdita che non ne volli più sapere nulla per molti anni. Intanto, subentrarono altre passioni e la fotocamera sparì dai miei pensieri fino agli anni 2000 quando, durante una vacanza, comprai - credo - una delle ultime macchinette usa e getta in autogrill e da quel momento è ripartito tutto”.

Come mai il tuo interesse maggiore ricade proprio nei ritratti?

“Come quelli che si avvicinano a questa passione, ho sperimentato un po’ tutto, dalla macro alla paesaggistica, foto notturne alle stelle per arrivare al ritratto: di tutti i generi, quelli che mi piacevano maggiormente erano la macro e il ritratto. Ho praticato per diverso tempo la macro, prima di passare definitivamente al ritratto; mi alzavo prestissimo per arrivare nei luoghi dove scattare prima dell’alba e trovare farfalle o altri insetti coperti di rugiada e quindi immobili. Il ritratto e la macro si somigliano molto, a mio parere, per due motivi: il primo – e anche quello principale - è che con la stessa attrezzatura puoi fare entrambi; il secondo è che sono due generi dove si scatta ad esseri viventi che possono trasmettere molte emozioni. Altro motivo per cui scattavo molto più macro e meno ritratti era sicuramente l’approccio con l’altra parte, modella o modello, poiché abbastanza timido e riservato, anche se in mente avevo bei progetti. Tutto è cambiato quando ho frequentato i corsi di fotografia, che mi hanno portato a conoscere tanti altri appassionati, scattando e postando nei social. Così ho abbandonato la fotografia macro, anche se rimango sempre affascinato a questo genere. Inoltre, il ritratto ti consente, per come la penso io, di raccontare già con una sola foto una storia, un momento, uno stato d’animo. Questo è ciò chi mi piace di più e, non secondario, fare sempre conoscenze nuove”.

Panorami o natura perché non catalizzano il tuo interesse?

“Per quanto riguarda i paesaggi, mi piace molto questo genere di foto, seppure non abbia mai suscitato tantissimo interesse in me, anche se ho moltissimi amici che tirano fuori dei veri capolavori”.

Preferisci lo scatto a colori, oppure ti affascina anche il bianco e nero?

“Il colore, seppure adori il bianco nero. Se una foto deve nascere in bianco e nero, deve essere anche pensata in bianco e nero, non come fanno tanti. Io stesso l’ho fatto, ossia lo scatto a colori e poi la conversione; oppure, ancor cosa peggiore, convertire una foto in bianco e nero solo perché a colori si nota qualche difetto. Adoro il bianco e nero, ma nei miei scatti lo uso veramente pochissimo perché lo ritengo - questo il mio pensiero - degno solo di scatti importanti; scatti che devono smuovere in me un’emozione particolare”.

Oggi si scatta solamente in digitale: hai un po’ di nostalgia del vecchio e caro rullino?

“Personalmente, ho scattato veramente poco con fotocamere a rullino. Diciamo che sono nato fotograficamente con il digitale, quindi nessuna nostalgia, anche se in verità ho acquistato due obiettivi anni ‘60 che con appropriati adattatori funzionano ancora oggi benissimo e ti riportano, in un attimo, a tempi nei quali non esistevano automatismi. Con questi devi fare tutto in manuale, poi un buon appassionato di fotografia, anche se non usa il rullino, deve conoscere abbastanza bene la sua storia: come nasce e su cosa si basa principalmente”.

Quale il tuo scatto preferito?

“Guarda caso, è proprio in bianco e nero: ritrae una donna incinta. Come detto, una foto in bianco e nero deve trasmettere grandi emozioni e cosa c’è di più emozionante di dare la vita; la foto fa parte di una mostra fatta nel 2016”.

Secondo il tuo parere, la fotografia è da considerare un’arte sotto tutti i punti di vista?

“Assolutamente sì! È arte in tutte le sue forme, non esiste la foto brutta o bella, può piacere o non piacere guardandola, non può trasmettere nulla ma sicuramente all’autore ha trasmesso qualcosa e ha voluto raccontare una storia, un momento, un’emozione. Questo è ciò che conta per un appassionato - almeno per me - e non bisogna diventare famosi”.

I giovani non sono molto attratti dalla macchina fotografia, scattano sì ma d’impulso con lo smartphone: quale potrebbe essere secondo te la strategia per fare loro cambiare idea?

“Non solo usano molto lo smartphone - e non so se sia un bene o un male - ma il fatto è che la fotografia di tutti i generi richiede tempo e un minimo di preparazione tecnica. Aspetti ai quali oggi le persone non si vogliono dedicare, tanto c’è il telefono e vengono anche bene. Una strategia per far cambiare idea potrebbe essere quella di tornare a stampare le foto, cosi si renderebbero conto di cosa vuol dire fotografia”.

Suona il telefono, c’è una proposta per un importante reportage in giro per il mondo: Claudio Biancucci cosa risponde?

“Mi farebbe molto piacere, ma forse non andrei: la mia è solamente una passione, amo il mio territorio e la sua gente. No, non partirei! Poi nella vita mai dire mai… ”.

Quali sono i progetti a cui sei maggiormente legato che ti hanno visto impegnato?

“Negli ultimi anni ho fatto principalmente progetti non miei; progetti ai quali sono stato chiamato, belli, altrimenti non avrei accettato, che però non colpivano al 100% il mio interesse. Essendo solamente una passione e avendo già un lavoro, il tempo per progetti miei è sempre pochissimo, anche se in testa ne avrei diversi. Quello a cui tengo moltissimo è nato nel 2016 per il 600esimo della nascita di Piero della Francesca: assieme a un’amica, Anna Cappelloni anche lei appassionata di fotografia, abbiamo voluto rivisitare in chiave moderna, viste ai giorni nostri con i nostri occhi, le opere del grande artista. Da tutto questo, poi, è nata una mostra con 22 stampe chiamata “Riflessi” che - grazie all’amministrazione comunale di Monterchi, ai Musei Civici Madonna del Parto e ad altre associazioni - è stata esposta per alcuni mesi nel museo con una bellissima presentazione, per poi spostarsi altri due mesi al ristorante Fiorentino di Sansepolcro di Alessia Uccellini, che ringrazio ancora oggi per essere una delle protagoniste di uno dei più emozionanti scatti fatti da me”.

Ed il sogno nel cassetto, ovviamente dal punto di vista fotografico?

“Un sogno nel cassetto vero e proprio non c’è; ci sono invece diversi progetti in testa, ma chissà se troverò il tempo per svilupparli al meglio. Uno di questi che farò a breve sarà una collaborazione con un’officina di moto da cross per ragazzi disabili. Intanto, continuiamo a scattare, poi le cose verranno da sole: grazie e buone feste a tutti!”.

Redazione
© Riproduzione riservata
21/01/2022 09:01:47


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