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Caltanissetta, l’ex giudice Silvana Saguto condannata a otto anni e 6 mesi

Con lei alla sbarra anche il marito e il figlio

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Il sistema c’era, non si tratta di un’associazione a delinquere ma la condanna per l’ex giudice Silvana Saguto è comunque pesante: otto anni e sei mesi per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, strumento fondamentale nella lotta a Cosa nostra ma piegato, secondo l’accusa, ai fortissimi interessi personali ed economici dello stesso magistrato, radiato dalla magistratura a giudizio appena iniziato.

Un caso Palamara ante litteram, la magistratura costretta a fare i conti con se stessa, in un processo all’antimafia: non a tutta, ma a quella antimafia di facciata che ruotava attorno al presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Un avamposto nella lotta alle cosche, lo aveva definito lei stessa, prima di finire trascinata, a Caltanissetta, nel vortice di accuse di corruzione e abuso d’ufficio che hanno travolto anche il marito e il figlio, amministratori giudiziari e professori universitari, un ex prefetto e un colonnello, alcuni condannati assieme – anche loro – a propri prossimi congiunti. In tutto 12 persone, con tre sole assoluzioni: quella del padre dell’ex giudice, Vittorio Pietro Saguto, di un altro magistrato, Lorenzo Chiaramonte, e dell’avvocato (ed ex amministratore) Gabriele Aulo Gigante. La Saguto dovrà risarcire la presidenza del Consiglio, che si era costituita parte civile e dovrà ricevere da lei 500 mila euro.

Pedina centrale del sistema era l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, al quale il tribunale nisseno, presieduto da Andrea Catalano, ha dato sette anni e mezzo. Altro stretto collaboratore della Saguto nella distribuzione di incarichi di gestione dei beni e delle connesse gratificazioni per l’ex presidente era – secondo i pm Claudia Pasciuti e Maurizio Bonaccorso – Carmelo Provenzano, docente dell’Università Kore di Enna: ha avuto 6 anni e 10 mesi. La moglie di lui, Maria Ingrao, 4 anni e 2 mesi, la cognata Calogera Manta 4 anni e 2 mesi.  Un altro ex amministratore, Roberto Nicola Santangelo, è stato condannato a 6 anni, 2 mesi e 10 giorni. Stessa pena al marito della Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma: nel sistema il suo ruolo era quello di chi veniva nominato – non sempre a Palermo – dagli amministratori, sempre per ricompensare la moglie. I figli della coppia avevano un tenore di vita esagerato, la madre magistrato al telefono – intercettata dalla Guardia di Finanza – si sfogava dicendo che le costavano fino a 12 mila euro al mese. Uno dei tre figli era imputato: si chiama Emanuele Caramma, ha avuto sei mesi per essersi fatto scrivere la tesi di laurea dal professor Provenzano.

 Il colonnello della Guardia di Finanza, ex Dia, si chiama Rosolino Nasca: per lui 4 anni. L’ex prefetto di Palermo era Francesca Cannizzo: 3 anni. Un altro docente universitario, Roberto Di Maria, 2 anni, 8 mesi e 20 giorni. Infine l’avvocato Walter Virga, un anno e 10 mesi: a 32 anni si era trovato a gestire un patrimonio da 800 milioni di euro, quello degli imprenditori palermitani Rappa, proprietari di un impero fatto di televisioni, società immobiliari e imprese edilizie. I loro beni sono stati poi confiscati per circa la metà del valore, da un collegio delle misure di prevenzione formato da altri magistrati, nel dopo-Saguto. Segno che sequestri e confische non erano del tutto campati in aria, ma il sistema prevedeva l’assegnazione della gestione sempre alla stessa cerchia di persone e una durata esagerata delle stesse amministrazioni, che faceva lievitare i costi (e i compensi riconosciuti ai gestori dei beni). Una delle autodefinite vittime del magistrato, Pietro Cavallotti, e il radicale Sergio D’Elia di Nessuno tocchi Caino, commentano la sentenza affermando che “non c’è nulla da esultare, perché la condanna non restituirà il patrimonio alle persone a cui è stato ingiustamente confiscato”.

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
29/10/2020 05:34:11


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