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Strage di Srebrenica 25 anni dopo: ancora oggi le madri cercano i resti dei loro figli

Era l’11 luglio 1995 quando in Bosnia vennero uccisi dalle milizie serbe

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L'11 luglio del 1995 oltre 8.000 (secondo i dati ufficiali, mentre altre fonti parlano di 10.701) giovani e adulti musulmani vennero uccisi dalle milizie serbe a Srebrenica, in quella che le Nazioni Unite avevano designato come “zona protetta” e nonostante la presenza dei caschi blu. «Mentre il mondo si appresta a commemorare coloro che persero la vita 25 anni fa – racconta Jelena Sesar, ricercatrice di Amnesty International sui Balcani – e a mostrare solidarietà a chi sopravvisse è del tutto inaccettabile che le famiglie di oltre un migliaio di vittime siano ancora alla ricerca dei loro resti. La verità sulla sorte dei loro cari, seppelliti chissà dove un quarto di secolo fa, rende assai difficile trovare pace o qualche forma di conforto».

Tra loro ci sono un gruppo di donne coraggiose. Vivono sole dopo aver sepolto un paio di ossa dei loro figli, ritrovate in alcune fosse comuni, sono le madri di Srebrenica che dopo il genocidio sono tornate alle loro case per essere vicine alle tombe dei loro cari e per continuare a lottare affinché si continui a cercare le spoglie delle vittime - ne mancano un migliaio all'appello - e a processare i criminali di guerra. Decine di madri vivono da sole sognando i loro cari, ma gli anni passano, il dolore uccide e ogni giorno, dice Fazila Efendic, presidente dell'associazione «Madri di Srebrenica», ne viene a mancare una.

Quel luglio 1995 Nura Mustafic si diresse a Potocari, ma poi cambiò idea e tornò al suo villaggio Bajramovici per avviarsi, assieme alla famiglia e ad altri profughi, per i boschi a cercare salvezza a Tuzla. Il 13 luglio incapparono in un agguato dei serbi e da allora non ha mai più rivisto il suo Mirsad, ma ha ritrovato gli altri due figli feriti, usando alcuni suoi vestiti per fasciare le loro ferite. Il marito Hasan andò a prendere dell'acqua, ma non fece più ritorno. In un campo c'erano molti profughi e un blindato dell'Onu: tutti si arresero pensando che l'Onu stesse raccogliendo i feriti. Invece, i profughi furono caricati su un camion da parte dei soldati serbi che li portarono fino al fiume Tisca.

Mentre scendevano dal camion i soldati separarono Nura dai figli senza badare alle sue preghiere. Il suo Alija le disse: «Vai mamma, verremo anche noi!». Ma non arrivarono mai. Per mesi Nura girò per gli ospedali di Tuzla e le fosse comuni, ma non li trovò. Le spoglie del marito Hasan furono ritrovate nel 2009 e seppellite l'anno dopo. Due dei figli li seppellì nel 2011, e la donna continua a cercare le ossa del terzo figlio. La storia di Nura Mustafic è stata realizzata in collaborazione col team del Memoriale di Srebrenica, che pubblica le storie delle vittime e dei testimoni del genocidio nell'ambito del programma «12 giorni di memoria» che comprende testimonianze, documenti e informazioni su quello che avveniva di ora in ora, ma soprattutto la voce viva dei superstiti. 

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
12/07/2020 06:54:19


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