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Italia al 27° posto per la spesa in ricerca, all’8° per i risultati

Annuario Scienza e Società 2020: pochi laureati, docenti universitari anziani

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C’è voluta la pandemia di coronavirus perché ci si accorgesse che la ricerca scientifica è importante e i ricercatori italiani sono bravi. Quanto bravi lo vedremo tra poco, ma certo più di quanto ci si potrebbe aspettare dai loro stipendi e da quell’1,4 per cento del Pil (prodotto interno lordo) che è l’investimento pubblico del nostro paese nella ricerca.

Tre tendenze incoraggianti
E’ appena uscito l’”Annuario Scienza Tecnologia e Società” (a cura di Giuseppe Pellegrini e Andrea Rubin, il Mulino, 193 pagine, 19 euro), un appuntamento che il centro studi Observa Science in Society ha varato nel 2005 per fotografare la cultura scientifica e la sua percezione pubblica in Italia e nel mondo. Durante i 15 anni di pubblicazione, gli indicatori scelti dall’Annuario mostrano nel complesso tendenze incoraggianti: l’analfabetismo scientifico è in (lieve) flessione, migliora la sensibilità ai problemi dell’ambiente, cresce il desiderio di informazione scientifica in tv, radio e giornali nonostante il rumore di fondo dei social. Lo si vede bene nella forte adesione ai provvedimenti anti pandemia, lo conferma il silenzio degli antivax e la rivalutazione degli esperti contro lo slogan “uno vale uno”.

Quadro in chiaro-scuro
Ma se si guarda alle classifiche, il quadro diventa un chiaro-scuro. In Europa siamo al tredicesimo posto per numero di laureati e dottorati nelle discipline scientifiche, migliora però l’equilibrio uomini/donne. Quanto alla percentuale di ricercatrici nel mondo, ci si imbatte in una graduatoria inattesa: ai primi posti troviamo nell’ordine Argentina, Lettonia, Lituania, Islanda, Romania; l’Italia è diciassettesima. Drammatica la prevalenza degli anziani tra i docenti universitari: il Lussemburgo ha il 62 per cento dei docenti sotto i quarant’anni, l’Italia il 13. E siamo ventiduesimi in Europa per la presenza femminile tra i docenti universitari (37 per cento contro il 56 della Lituania).

Nessuna istituzione italiana compare tra le prime 10 che beneficiano dei finanziamenti del programma europeo Horizon 2020; se ci limitiamo all’Italia, in testa c’è il Cnr seguito dal Politecnico di Milano, dall’Università di Bologna e dall’IIT. Tuttavia l’Italia con 561 progetti finanziati dall’European Research Council è all’ottavo posto, mentre in testa c’è il Regno Unito con 2073 progetti: un primato destinato a scomparire con la Brexit.

Ricerca di base: 0,32% del Pil

In ambito Ocse l’Italia è al ventisettesimo posto (come l’Ungheria) per investimenti in ricerca e sviluppo (1,4%), la Corea al primo (4,6%) Israele al secondo (4,5) e la Svizzera al terzo (3,4). Per la spesa nella ricerca di base (guidata più dalla curiosità che da immediate applicazioni) siamo diciannovesimi (0,32% del Pil), con la Svizzera in testa (1,29) e la Corea al secondo (0,66).

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
16/03/2020 15:19:12


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