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Emergenza clima, trattativa in stallo. La Conferenza rischia il fallimento

Il negoziato doveva concludersi venerdì. Timmermans: «Chiudere a ogni costo»

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Siamo a due settimane dall’inizio del decennio decisivo per il clima. Ma dalla Cop25 di Madrid non arrivano segnali incoraggianti. Il negoziato doveva finire venerdì notte, al più tardi sabato mattina. Invece nella notte di ieri sono continuati i lavori. Mentre si smontano i padiglioni espositivi, delegati visibilmente stanchi e assonati continuano ad aggirarsi tra le stanze del negoziato. Nei corridoi aleggia una parola: fallimento. Poteva essere la Cop dell’ambizione, delle soluzioni concrete, l’ultimo check prima del grande appuntamento del prossimo anno a Glasgow per rendere pienamente operativo l’Accordo di Parigi. Invece si sta rivelando essere la Cop della vergogna. Il senso di déjà-vu con la conferenza fallimentare di Copenaghen è diffuso. Ieri è stata rimandata per ben cinque volte la plenaria finale: niente compromesso sul testo finale. Al centro dello stallo le difficoltà a completare il «libro delle regole» dell’Accordo di Parigi per i prossimi dieci cruciali anni e la creazione di un quadro temporale condiviso per gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2. Nulla di fatto per l’articolo 6 sulla finanza climatica, ovvero i meccanismi per usare i crediti di carbonio nei Paesi industrializzati per alleviare i costi della decarbonizzazione. Non regge nemmeno il cappello politico: «Tutti i riferimenti all’ambizione, fondamentale per il successo della Cop26 di Glasgow sono scomparsi dai testi negoziali», commenta Carlos Fuller, a capo della delegazione dei piccoli Stati insulari. Si dibatte persino se adottare i report speciali Ipcc su oceani e suolo.

Negazionisti e sovranisti

Dietro lo stop pesa un’alleanza trasversale di governi negazionisti e sovranisti. Soprattutto Usa, Brasile, Australia. «Gli Usa che sono usciti dal negoziato, continuino ad avere una presenza forte e poco propositiva» spiega un delegato europeo, che preferisce l’anonimato in quanto i negoziati sono ancora in corso. Ma le dita si puntano in ogni direzione. Chi mette sotto accusa la Presidenza cilena per aver gestito male i tempi del negoziato, presa dai problemi interni. Chi l’Europa, nonostante la dote del Eu Green Deal non riesce a generare sufficiente capitale politico. Chi i poteri fossili, dalla Russia all’Arabia Saudita. Per Frans Timmermans bisogna chiudere ad ogni costo: «dobbiamo arrivare alla Cop26 con un messaggio forte per il mondo al di fuori del negoziato». Ma per Laurence Tubiana, architetta dell’Accordo, «meglio rimandare alcuni elementi al prossimo negoziato che avere un pessimo accordo che ci dovremo portare dietro per i prossimi 10 anni». Dunque non è escluso che oggi si metta la pietra tombale sul negoziato. «Troppi elementi inconclusi, siamo fuori tempo massimo, non si riesce ad avanzare», commenta a tarda serata Leonardo Massai, che negozia in nome della Papua Nuova Guinea. «Anche i delegati rimasti sono pochi e stremati. Potrebbe succedere come nel 2000. Una Cop25-bis a giugno per chiudere tutto».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
15/12/2019 07:13:51


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