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“Volevano uccidere”. I motivi della condanna per gli aggressori del figlio della Ventura

Niccolò Bettarini colpito “con violenza e reiterazione” “verso parti vitali del corpo”

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Volevano ammazzarlo. Per questo lo hanno colpito ripetutamente con calci, pugni e anche con un coltello «verso parti vitali del corpo». E anche chi non lo ha pugnalato, non ha preso le distanze. Anzi, si è vantato della brutale aggressione a Niccolò Bettarini, il figlio della showgirl Simona Ventura e dell'ex calciatore Stefano. Per questo i giudici d’Appello hanno nella sostanza confermato le condanne di primo grado, con qualche piccolo sconto di pena. Nella motivazioni della sentenza viene, infatti, sottolineata la «caratura micidiale» dei colpi sferrati contro il giovane, colpito davanti all'Old Fashion a Milano la notte del primo luglio 2018.

Tante le ferite riportate dalla vittima al petto, al fianco e al braccio destro con la lesione al nervo. Anche la prognosi, insieme alla ricostruzione dell'accaduto, non lasciano dubbi che «gli atti posti in essere dagli imputati fossero idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte della parte lesa». I colpi, inferti con «violenza e reiterazione», sono continuati anche quando la vittima era a terra. Un assalto caratterizzato, tra l’altro, dalla «superiorità numerica degli aggressori». Se Davide Caddeo, per cui è stata confermata la condanna a 8 anni, ha ammesso di aver usato il coltello contro il 19enne, nessuno degli altri è intervenuto «ad interrompere o, comunque, a modificare il prevedibile corso degli eventi, dando, viceversa, seguito all'azione criminosa», scrivono i giudici nelle motivazioni. E, se pure a scatenare l'accoltellamento fosse stata una lite precedente di mesi, cui Bettarini non ha partecipato, questo aspetto appare «assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento».

Per la Corte, non sono meno gravi le posizioni degli altri imputati nel processo. Per questo Albano Jackej è stato condannato a 6 anni e 4 mesi, Alessandro Ferzoco a 5 anni e mezzo e Andi Arapi a 5 anni. Da quanto emerso dall'ascolto dei testimoni, il gruppo si è scagliato contro il giovane urlando: «È il figlio di Bettarini, uccidetelo!». Albano e Arapj - come raccontato dal tassista, sentito nel corso del processo - «durante la fuga a bordo del taxi si vantarono dei colpi sferrati, senza manifestare alcuna preoccupazione, né dissenso in merito al ferimento del ragazzo». Una circostanza, questa, confermata anche dall'impianto di registrazione installato a bordo del veicolo. Quanto, al contrario, all'atteggiamento «arrogante e di sfida» assunto da Bettarini, che gli avvocati della difesa avevano posto come motivazione alla reazione dei loro assistiti, per i giudici «non merita alcun accoglimento».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
02/12/2019 22:23:37


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