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Thailandia, il Papa: proteggere donne e bambini dal flagello degli abusi

A Bangkok invita la comunità internazionale a non ignorare la crisi migratoria

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Nel primo discorso alle autorità di un paese, la Thailandia, alle prese con la piaga della schiavitù sessuale che alimenta un turismo «ad hoc», Francesco lancia una appello netto: bisogna proteggere donne e bambini dagli abusi. Il Papa esprime «riconoscenza al governo per i suoi sforzi volti ad estirpare questo flagello». Inizia così la visita apostolica del Pontefice a Bangkok, prima meta del suo viaggio asiatico che proseguirà poi in Giappone da sabato 23 novembre. Di fronte ai leader politici ribadisce la richiesta alla comunità internazionale affinché non ignori la crisi migratoria, perchè «non si tratta solo di migranti ma del volto che vogliamo dare alle nostre società». Poi incontra il patriarca supremo dei buddisti, con cui rimarca quanto sia importante «che le religioni si manifestino sempre più quali fari di speranza, in quanto promotrici e garanti di fraternità».

Papa Francesco arriva alla Government House di Bangkok, dove viene  accolto dal primo ministro, il generale Prayuth Chan-ocha, con il quale ha un colloquio privato. A seguire si tiene l'incontro con le autorità, con la società civile e il corpo diplomatico.

Il Papa è accompagnato in ogni momento di questo viaggio dalla cugina-interprete, suor Ana Rosa Sivori. E la suora, argentina salesiana missionaria in Thailandia da oltre mezzo secolo, ha confermato (all’Ansa) il dramma dello sfruttamento sessuale, in particolare di minori: «Vengono a migliaia, in ogni mese dell'anno, a godere di non si sa che cosa, un fenomeno molto triste». Secondo i dati della Commissione nazionale per le Donne (la Thai National Commission for Women), il numero totale di prostitute al di sotto dei 18 anni di età sarebbe stimabile fra le 30mila e le 35mila unità. Un numero che comprende anche tanti ragazzi. La «domanda» approda continuamente da aerei colmi di uomini dall'Europa ma anche dalle zone più ricche dell’Asia. Come se non bastasse, le organizzazioni criminali fanno arrivare baby-prostitute anche dai paesi vicini come Indonesia, Malesia e Filippine. Si stima che l'industria del sesso muova in questa area tra il 2 e il 14% del prodotto interno lordo. 

E nel suo primo discorso in un Paese segnato dal turismo sessuale, Papa Bergoglio afferma: «Penso a quelle donne e a quei bambini del nostro tempo che sono particolarmente feriti, violentati ed esposti ad ogni forma di sfruttamento, schiavitù, violenza e abuso». Parlando ai leader politici thailandesi aggiunge: «Esprimo la mia riconoscenza al governo tailandese per i suoi sforzi volti ad estirpare questo flagello, come pure a tutte le persone e le organizzazioni che lavorano instancabilmente per sradicare questo male e offrire un percorso di dignità».

Oggi «più che mai le nostre società hanno bisogno di “artigiani dell’ospitalità", uomini e donne che si prendano cura dello sviluppo integrale di tutti i popoli, in seno a una famiglia umana che si impegni a vivere nella giustizia, nella solidarietà e nell'armonia fraterna», esorta il Papa.

La Thailandia sta affrontando il fenomeno dell’immigrazione, così il Papa dice: «La crisi migratoria non può essere ignorata», la stessa «Tailandia, nota per l'accoglienza che ha concesso ai migranti e ai rifugiati, si è trovata di fronte a questa crisi dovuta alla tragica fuga di rifugiati dai Paesi vicini. Auspico, ancora una volta, che la comunità internazionale - rimarca - agisca con responsabilità e lungimiranza, possa risolvere i problemi che portano a questo tragico esodo e promuova una migrazione sicura, ordinata e regolata». Si augura il Pontefice: «Possa ogni nazione approntare dispositivi efficaci allo scopo di proteggere la dignità e i diritti dei migranti e dei rifugiati, i quali affrontano pericoli, incertezze e sfruttamento nella ricerca della libertà e di una vita degna per le proprie famiglie». Poi ammonisce: «Non si tratta solo di migranti, si tratta anche del volto che vogliamo dare alle nostre società».

Bisogna coniugare libertà e solidarietà: è questo il messaggio del Vescovo di Roma. Il Papa esplicita il suo «fermo proposito di affrontare tutto ciò che ignori il grido di tanti nostri fratelli e sorelle, i quali anelano ad essere liberati dal giogo della povertà, della violenza e dell'ingiustizia. Questa terra - sostiene - ha per nome “libertà”. Sappiamo che questa è possibile solo se siamo capaci di sentirci corresponsabili gli uni degli altri e di superare qualsiasi forma di disuguaglianza». Occorre perciò «lavorare perché le persone e le comunità possano avere accesso all'educazione, al lavoro degno, all'assistenza sanitaria, e in tal modo raggiungere i livelli minimi indispensabili di sostenibilità che rendano possibile uno sviluppo umano integrale». 

Successivamente il Papa si sposta nel tempio Wat Ratchabophit Sathit Maha Simaram, dove si intrattiene con il patriarca supremo dei buddisti, Somdej Phra Maha Muneewong. Tra i doni che gli offre c’è anche il «Documento sulla Fratellanza umana» di Abu Dhabi. Dice Jorge Mario Bergoglio: «Dobbiamo lavorare insieme perché la nostra umanità sia più fraterna», come riferisce il direttore di La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, presente dialogo.

Afferma Francesco: il cammino interreligioso può testimoniare «anche nel nostro mondo, tanto sollecitato a propagare e generare divisioni e esclusioni, che la cultura dell'incontro è possibile. Quando abbiamo l'opportunità di riconoscerci e di apprezzarci, anche nelle nostre differenze, offriamo al mondo una parola di speranza capace di incoraggiare e sostenere quanti si trovano sempre maggiormente danneggiati dalla divisione». Il Papa evidenzia «quanto sia importante che le religioni si manifestino sempre più quali fari di speranza, in quanto promotrici e garanti di fraternità». Ringrazia la Thailandia perché fin dall'arrivo del cristianesimo, circa quattro secoli e mezzo fa, «i cattolici, pur essendo un gruppo minoritario, hanno goduto della libertà nella pratica religiosa e per molti anni hanno vissuto in armonia con i loro fratelli e sorelle buddisti». Su questa strada di «reciproca fiducia e fraternità, desidero ribadire il mio personale impegno e quello di tutta la Chiesa per il rafforzamento di un dialogo aperto e rispettoso al servizio della pace e del benessere di questo popolo». Conclude il Papa: «Potremo promuovere tra i fedeli delle nostre religioni lo sviluppo di nuovi progetti di carità, capaci di generare e incrementare iniziative concrete sulla via della fraternità, specialmente con i più poveri, e riguardo alla nostra tanto maltrattata casa comune». In questo modo «contribuiremo alla formazione di una cultura di compassione, di fraternità e di incontro, tanto qui come in altre parti del mondo».

Nel corso dell’«amichevole colloquio» a porte chiuse, come lo descrivono dal Vaticano, tra Francesco e il Patriarca buddista, si è parlato del valore della fraternità tra le due religioni, per favorire la pace. «Se siamo fratelli possiamo aiutare la pace mondiale», i poveri e i sofferenti, ha detto il Papa, perché «aiutare i poveri è sempre un cammino di benedizione». Ci si è poi soffermati sul valore dell'educazione, sul ruolo dei missionari, che vengono «non a conquistare, ma ad aiutare», perché «il proselitismo è proibito». Si è riflettuto  sull'importanza di una collaborazione vicendevole tra le due religioni. 

Poi, la tappa Papa all'ospedale cattolico di Bangkok, il St. Louis, che quest'anno celebra il suo 120° anniversario dalla fondazione. Francesco visita i malati e incontra il personale. «Tutti voi, membri di questa comunità sanitaria, siete discepoli missionari quando, guardando un paziente, imparate a chiamarlo per nome - sottolinea - I vostri sforzi e il lavoro delle tante istituzioni che rappresentate sono la testimonianza viva della cura e dell'attenzione che siamo chiamati a dimostrare per tutte le persone, in particolare per gli anziani, i giovani e i più vulnerabili». In questi 120 anni di vita dell'ospedale cattolico a Bangkok «quante persone hanno ricevuto sollievo nel loro dolore, sono state consolate nelle loro oppressioni e accompagnate nella loro solitudine! Nel rendere grazie Dio per il dono della vostra presenza nel corso di questi anni, vi chiedo di far sì che questo apostolato, e altri simili, siano sempre più segno ed emblema di una Chiesa in uscita che, volendo vivere la propria missione, trova il coraggio di portare l'amore risanante di Cristo a coloro che soffrono». Tutti «sappiamo che la malattia porta sempre con sé grandi interrogativi. La nostra prima reazione può essere quella di ribellarci e persino di avere momenti di sconcerto e desolazione. È il grido di dolore, ed è bene che sia così: Gesù stesso lo ha patito e lo ha fatto suo. Con la preghiera - termina Francesco - anche noi vogliamo unirci al suo grido».

Notizia e foto tratte da La Stampa
© Riproduzione riservata
21/11/2019 14:25:56


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