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Le profezie di suor Serafina Brunelli, la monaca veggente

Una figura che ha vissuto a Umbertide e Montone

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Da “civetta” in gioventù a serva di Dio. Una figura che Umbertide e Montone si dividono in un certo senso a metà e non solo perché nel primo luogo è nata e nell’altro ha poi proseguito la sua vita di obbedienza fino al giorno della morte. È vissuta tre secoli fa, dal 1659 al 1728 (ma altre fonti indicano il 1729), morendo quindi all’età di 69-70 anni. Stiamo parlando di suor Serafina Brunelli, monaca benedettina divenuta famosa per essere stata una mistica e una veggente. Di lei, rimangono le tre profezie delle quali parleremo e che ancora sono oggetto di studio. Suor Serafina era stata amica di Santa Veronica Giuliani e molto stimata da Vittorio Amedeo II di Savoia. Per ordine dei confessori, scrisse un lungo diario nel quale sono raccontate le sue visioni e la sua vita. Su questa interessante figura, Elvio Ciferri ha scritto un libro, intitolato “Serafina Brunelli – Vita, visioni e profezie della mistica di Montone”, nel quale racconta per filo e per segno quello che è stato il percorso della suora del convento di Santa Caterina, una ragazza bella e corteggiata che, ancora giovanissima, viene spedita dalla famiglia in un monastero, con tutte le regole e la ferrea disciplina che esistono in questi ordini. Regole che lei tenta di aggirare in forma garbata, per non arrendersi all’idea di non vedere più giovani che la filassero e che allo stesso le piacessero, fino a quando una voce dell’anima non le consiglia di scegliere la strada dell’obbedienza religiosa. La bella Elisabetta diventa così suor Serafina, la veggente; in questa vallata ricca di personaggi storici, con artisti e scienziati sopra tutti (e siamo d’accordo), spesso a catturare l’attenzione sono proprio le storie particolari di personaggi altrettanto particolari, vissuti sempre secoli addietro, che però stentano nel guadagnarsi la ribalta mediatica ma che meritano pari dignità a livello di attenzione. Suor Serafina appartiene proprio a questa cerchia: le sue profezie sono da considerare alla stessa stregua di opere d’arte, per chi ama storia e ricerca.   

 

RAGAZZA BELLA E CORTEGGIATA, MA SPEDITA IN MONASTERO

Il nome Serafina lo avrebbe acquisito dopo aver preso i voti, perché quello di battesimo è Elisabetta - figlia di papà Angelo, falegname di mestiere e di mamma Giulia - e nata il 9 luglio 1659 nell’odierna Umbertide, che allora si chiamava Fratta. Quando la madre muore, Elisabetta è ancora molto giovane e all’età di 16 anni un ragazzo le si avvicina, mostrando interesse nei suoi confronti; lei si innamora tantissimo di questo giovane, che la vuole come sua sposa, incontrando però la decisa opposizione del padre e del fratello di Elisabetta, che il 21 settembre 1676 (cioè a 17 anni) la affidano per sicurezza al monastero di Santa Caterina di Montone, in qualità di educanda, anche se lei continua a gradire i corteggiamenti dei ragazzi di bella presenza. Insomma, una vita monastica non proprio in esclusiva da parte di una giovane che viene decritta di “rara bellezza” e che tenta di conciliare la cristianità con una mentalità più aperta, rientrando sempre nei canoni del buon costume. Perché quel “no” da parte del padre verso il ragazzo al quale piaceva le aveva alimentato il desiderio del corteggiamento. Una volta venne sorpresa a parlare con un suo spasimante e rischiò seriamente l’espulsione dal monastero: per evitarla, accettò una pubblica penitenza in refettorio, ma sotto questo profilo Elisabetta era “recidiva”, nel senso che – così risulta - con un altro giovane si era scambiata alcune lettere, mentre un altro ancora sarebbe persino arrivato a farle una serenata sotto le finestre del monastero. A suo modo, Elisabetta si sente un “uccello in gabbia” e l’idea di essere oggetto di attenzioni e corteggiamenti la lusinga. Da un organista di Città di Castello, che si trovava a Montone per riparare un organo, si fa promettere che le avrebbe insegnato a cantare senza percepire alcun compenso.

 

LA RECITA DEL “SALVE REGINA” E LA CONVERSIONE

L’unico suo desiderio è quello di farsi notare e si spinge fino al punto di pregare la Madonna, ma ecco che qualcosa in lei cambia mentre recita il “Salve Regina”: “Come presumi di ricevere grazie da Dio, tu che tanto lo offendi con le tue vanità ed amori?”. Questa risposta, che percepisce dentro di sé come una sorta di apparizione della Madonna, imprime la svolta alla sua vita, perché inizia in lei a farsi strada la conversione, che ovviamente la guida verso un altro tipo di vita. Elisabetta rimane profondamente colpita, rinuncia a ogni vanità e al canto per dedicarsi alla confessione generale e, a distanza di sette anni dall’ingresso come educanda, indossa la veste benedettina e assume il nome di Teresa Serafina; l’anno successivo sarà quello in cui farà la professione, avendo per mansione quella di incaricata nei lavori della cucina. La fama dei favori che Dio le avrebbe concesso sarebbe cresciuta e suor Serafina sarebbe divenuta protagonista di fenomeni mistici straordinari quali estasi, trasverberazione (trafittura del cuore con un oggetto affilato), visioni e levitazione. Tuttavia, la sua condotta e le visioni che sosteneva di ricevere suscitano l’attenzione delle autorità diocesane; non solo: il vicario del vescovo la accusa di avere una tresca con il suo confessore, perché con lui si intratteneva in lunghe conversazioni e allora decide di far murare la porta del confessionale del monastero per evitare che vi fossero contatti troppo ravvicinati fra i due. E’ quanto riporta Elisabetta Lurgo in “Profetesse e visionarie nel ducato sabaudo fra XVII e XVIII secolo: appunti da una ricerca”. Che prosegue: quando il gesuita Antonio Tomassini viene a Montone per predicare, esprime la volontà di conoscere la monaca, perché la sua fama aveva cominciato a propagarsi al di là del paese; Tomassini rimane impressionato in maniera favorevole e comincia a divulgare la fama, ragion per cui a suor Serafina vengono recapitate lettere nelle quali le si chiedono grazie e consigli.

 

LE TRIONFALI PREVISIONI PER VITTORIO AMEDEO II DI SAVOIA

L’astrologo di Vittorio Amedeo II di Savoia, Giovanni Giobbi Fortebracci, entra in contatto con suor Serafina nel 1698, durante un viaggio a Montone e comunica a Vittorio Amedeo le numerose visioni attraverso le quali la religiosa gli profetizza la corona regale, annunciando il trionfo sulle armate francesi. E allora Vittorio Amedeo ricompensa le attenzioni della monaca verso casa Savoia, pagando la dote a una nipote della stessa Serafina; la ragazza, nel 1718, prende i voti come corista nel monastero di Montone. Ma un altro esempio significativo è legato alla corrispondenza con il protonotario apostolico Pietro Gabrielli dell’Accademia dei Bianchi di Roma: ebbene, quanto quest’ultimo viene arrestato dal Sant’Uffizio e messo in carcere alla Rocca Paolina di Perugia, entra in contatto con la suora, che gli anticipa la liberazione e gli invia alcuni doni. Abbiamo già ricordato l’amicizia con Santa Veronica Giuliani, di fatto una sua coetanea, che in quel periodo è la abbadessa delle Cappuccine di Città di Castello; con lei, suor Serafina tiene una stretta corrispondenza, ma ciò che stupisce di suor Serafina è lo straordinario spirito di profezia, come dimostra l’enorme quantità di scritti, considerati un autentico “diario spirituale” con le visioni allegoriche e profetiche che solo in parte si sono verificate. Nel 1702 Benedetto Bonelli, canonico nella Collegiata di Montone, aveva cominciato a stendere una biografia di suor Serafina, della quale è stata ritrovata una copia incompleta; l’opera era indirizzata a Vittorio Amedeo II di Savoia e alla sua famiglia, il che conferma come il duca fosse interessato alle sue profezie. Uno dei doni di suor Serafina era la conoscenza dell’intimo delle persone, tant’è vero che in molti preti era subentrato il timore di recarsi a dire la Santa Messa nel monastero per la paura che le loro mancanze venissero svergognate; fatti che puntualmente si verificarono. Fra i fatti che lei aveva predetto e che si verificarono, c’è anche il terremoto che distrusse la chiesa di Santa Maria degli Angeli e i confessori la obbligarono a scrivere un diario che poi il vescovo, monsignor Giuseppe Sebastiani e il Sant’Uffizio avrebbero approvato. Suor Serafina si ritrova a dover combattere anche con le malattie, con le persecuzioni e con le malignità, anche se i suoi nemici si recano poi pentiti a chiederle perdono. Lei, alla pari dei più grandi mistici, ha indirizzato affettività e passionalità verso il Creatore. E come i più grandi mistici, ha predetto anche la sua morte e quel giorno un’altra mistica tifernate, suor Angela Maria Benincasa, ha la visione di un serafino che vola in cielo con una palma sulla quale sta scritto: “Questa è Serafina”. I suoi manoscritti sono sparsi in archivi privati ed ecclesiastici, poi vedremo quali profezie aveva fatto.

 

LE PROFEZIE OGGETTO DI STUDIO

Suor Serafina, pure poetessa, era divenuta con il tempo una “madre spirituale” per le persone con le quali era entrata in contatto e per quelle che hanno letto i suoi scritti nel corso dei secoli. La sua fama di profeta si divulga nell’Europa del XVII secolo e a lei si rivolgono personaggi come Vittorio Amedeo II di Savoia, al quale descrive dettagliatamente l’assedio di Torino del 1706, prima che si verificasse nella realtà. Quali le principali profezie di suor Serafina? La caduta della monarchia in Francia; l’avvento di un imperatore che avrebbe fatto tremare il mondo, con chiara allusione a Napoleone Bonaparte e  un “ponte di luce” che univa la Sicilia al Regno di Napoli. Il 2 ottobre 1728 (o 1729) è la data della sua morte e ogni anno la monaca viene ricordata in questo giorno; la salma di suor Serafina è stata sepolta nella chiesa di San Fedele a Montone: un’operazione fatta quasi di nascosto, perché vi era un grande afflusso di gente che chiedeva le sue reliquie. All’indomani della sua morte, le consorelle e i fedeli raccolsero le testimonianze e gli scritti di Serafina: l’intenzione era quella di procedere con la sua beatificazione. Quasi cento anni dopo la sua morte, vi fu il tentativo di ricognizione canonica delle reliquie della Serva di Dio, ma il corpo non venne ritrovato nella sepoltura originaria: probabilmente, era stato trafugato o nascosto durante le invasioni francesi. Nel 1844 il vescovo, monsignor Giovanni Muzi, la inserì nell’elenco dei Servi di Dio della diocesi di Città di Castello. Era stato avviato anche il processo di beatificazione, interrotto dalla numerose vicende relative al monastero, soppresso più volte nel corso dei secoli e poi chiuso nel 1953, anche se la figura di suor Serafina Brunelli non è certo finita nell’oblio: anzi, proprio negli ultimi tempi l’interesse si è riacceso per questa straordinaria figura e alcuni suoi scritti sono stati pubblicati.

 

L’EX CONVENTO BENEDETTINO DI SANTA CATERINA

L'ex convento benedettino femminile di Santa Caterina, nel quale ha vissuto suor Serafina Brunelli, si trova nella parte più alta del borgo di Montone. È stato edificato sulle rovine della Rocca di Braccio e con ogni probabilità la sua costruzione risale al XVI secolo. Le prime certezze “certificate” in tal senso sono datate 1637, anno nel quale le proprietà di questo convento sono elencate in alcuni atti notarili del Comune. Della costruzione esistente in precedenza rimangono alcuni elementi architettonici (capitelli, volte a botte e a vela) nel piano seminterrato. Oggi, l’ex convento si trova nel giardino della Rimembranza ed è sede dell’archivio storico e della biblioteca del Comune, con annessa la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, esempio di architettura barocca di piccole dimensioni. Sopra l’ingresso, via era un balcone nel quale si trovavano coro e organo, mentre sul versante sinistro - per chi entra – c’è l’accesso alla cripta, con scale in pietra serena che conducono alle celle sepolcrali. Ha una causale storica particolare questo convento, perché dopo la morte di Braccio Fortebraccio c’era il figlio Carlo, generale della Repubblica Veneziana che, in contrasto con Papa Sisto IV della Rovere, devastava le terre dello Stato Pontificio. E il papa rispose inviando a Montone un suo legato, Lorenzo Giustini, che con l’ausilio di 600 terrazzani distrusse Castello e Rocca, entrambi fatti edificare da Braccio nel 1478. Il convento benedettino di Santa Caterina costruito sulle macerie della Rocca sta quindi a simboleggiare il potere pontificio.    

Eco del Tevere
© Riproduzione riservata
29/03/2018 09:43:20


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