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L’omicidio di Katia Dell’Omarino...

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Non conoscevo Katia dell'Omarino e nemmeno ne avevo mai sentito parlare. Se mi sarà concesso, un giorno vorrei scrivere la sua storia perché nessuno dimentichi chi era e ciò che le è successo. E' stata uccisa una donna. Qualcuno, in un articolo, l'ha definita 'un personaggio'. Io preferirei non etichettarla. In attesa di conoscere veramente chi era e qual' è stato il suo percorso prematuramente interrotto da una mano assassina.

Inviterei la popolazione a non dare giudizi affrettati, a non proiettare la propria ombra su chi, avendo un stile diverso dal proprio, ne fa agevolmente da ricettacolo.

Prima di giudicare cerchiamo di conoscere e cerchiamo pure di non arrogarci il diritto di considerarci migliori di chi, magari, non ha avuto le nostre stesse possibilità o comunque, semplicemente, non c'è l'ha fatta.

Certo, lo stile di vita di ciascuno di noi è messo sotto la lente d'ingrandimento di quella disciplina, fondamentale quando si indaga su un omicidio, che è la vittimologia.

E' ormai accertato che certi stili di vita aumentano il rischio vittimologico.

Ma questa è un'altra storia e non di certo giustifica chi l'ha uccisa.

Di certo, almeno sembrerebbe da quello che emerge, quello della povera Katia è un classico omicidio d'impeto.

Per definizione, questo tipo di azione omicidaria non è mai premeditata ma l'impulso omicida si scatena nell'interazione immediata con la vittima e l'assassino uccide con un corpo contundente o qualsiasi altra cosa trovi in quello che diventerà la scena del crimine.

Che cosa  ha fatto scatenare la furia omicida: ogni caso è diverso.

Una scoperta improvvisa, una richiesta non esaudita, la reazione della vittima che scatena un effetto incontrollabile.

Nel caso di Katia l'assassino porta via sia l'arma dell'omicidio che il telefono della vittima. Perché?

Per quanto riguarda il telefono è possibile che sarebbe stato uno strumento per risalire all'autore dell'omicidio, non è difficile credere che si conoscessero, anzi, è molto probabile ed è molto probabile che quella non forse la prima volta che si incontravano.

Che dire invece dello strumento utilizzato per uccidere Katia? Poteva identificare l'identità dell'assassino essendo un oggetto suo e che di solito portava con sé e del quale, magari, anche altri erano a conoscenza e che avrebbero potuto testimoniarlo? E' stato un gesto istintivo? Le impronte digitali potevano ricondurre alla sua identità?

Certo, quest'ultima ipotesi aprirebbe uno scenario particolare.

Ciò che è certo, purtroppo, è che una donna è stata uccisa con efferata violenza e che un assassino è ancora in libertà, speriamo ancora per poco.

Di certo le nostre zone l'innocenza l'hanno persa già da molto ma ciò non toglie che ogni qual volta una vita umana viene spezzata con così tanta violenza ci dovremmo tutti fermare a riflettere.

In molti penseranno che questo era un omicidio annunciato, che prima o poi avrebbe fatto una brutta fine.

Forse è così, non lo so. Quello che so è che ora bisogna appurare ciò che è successo.

L'assassino molto probabilmente è tra coloro che frequentavano la vittima; magari era un assiduo frequentatore e aveva stabilito nella sua mente che Katia dovesse essere solo la sua?

Questa è un'altra ipotesi. La cosa certa è che Katia ora merita giustizia. Ciò non la riporterà in vita ma spero che possa dare almeno un po di sollievo ai suoi familiari.

Redazione
© Riproduzione riservata
16/07/2016 18:33:01

Buttarini Massimo

Originario e residente a Città di Castello, si è laureato in Psicologia a indirizzo applicativo presso l’Università “La Sapienza” di Roma e svolge la professione di psicologo dal 1992. È esperto di psicologia investigativa e investigazioni difensive, consulente per studi legali, psicologo clinico e forense specializzato in psicoterapia. Ha una predilezione per il giornalismo d’indagine, finalizzato alla ricerca della verità, che lo ha portato a seguire alcuni fra i principali casi di cronaca del nostro Paese.


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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