Mueller rompe il silenzio sul Russiagate: “Incriminare il presidente non era una opzione”
Il procuratore speciale sottolinea che una accusa sarebbe stata incostituzionale
Nell’annunciare il suo addio al dipartimento di Giustizia e il suo ritorno alla vita privata, il procuratore speciale che per 22 mesi ha indagato sul cosiddetto Russiagate ha ribadito quanto era emerso a marzo, quando aveva consegnato il suo rapporto conclusivo al segretario alla Giustizia: «Se fossimo stati certi che il presidente non ha commesso crimini, lo avremmo detto». Il riferimento è alla possibilità che Donald Trump abbia ostacolato il corso della giustizia durante le indagini sull’interferenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016. Per Robert Mueller, un Presidente in carica non può essere incriminato («sarebbe incostituzionale»), motivo per cui di fatto lui lascia al Congresso il compito di determinare se Trump può essere o meno oggetto di impeachment. Nel suo primo (e forse ultimo) intervento pubblico sull’inchiesta, l’ex direttore dell’Fbi ha spiegato di non voler rilasciare commenti aggiuntivi sul caso, men che meno su «conclusioni ipotetiche». E se fosse obbligato a parlare davanti ai membri delle commissioni parlamentari che stanno indagando, lui ha detto: «Ogni testimonianza non andrebbe oltre quanto contenuto nel rapporto», giudicato «la mia testimonianza. Non aggiungerei nulla rispetto a quando è già stato reso pubblico». Mueller ha concluso il suo intervento dicendo che «ci sono stati sforzi molteplici e sistematici per interferire nelle nostre elezioni. Ufficiali dell’intelligence russa, parte dell’esercito russo, hanno lanciato un attacco coordinato al nostro sistema politico», nel tentativo di «interferire con le nostre elezioni e danneggiare un candidato presidenziale».
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