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Depositate le motivazioni della condanna di Padre Graziano

Con Guerrina Piscaglia una "relazione sentimentale e sessuale"

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La Corte di Cassazioneha depositato le motivazioni della condanna definitiva per padre Graziano a 25 anni di carcere, che sta scontando a Rebibbia. Mentre l'Ordine dei frati Premostratensi ha avviato la procedura di espulsione e svestizione di Gratien Alabi Kumbayo, ritenuto colpevole di omicidio volontario e soppressione di cadavere.

Benché manchi il corpo e non ci sia una prova lampante, la cosiddetta "pistola fumante", secondo la Suprema Corte: "Si è registrata una piena convergenza di elementi indizianti a carico dell'imputato, ritualmente acquisiti e tali da confinare il dubbio circa l'esistenza dell'omicidio e la sua attribuibilità all'imputato, nell'area dell'assoluta irragionevolezza".

In 57 pagine (presidente della Corte Antonella Patrizia Mazzei, giudice estensore Raffaello Magi) viene sintetizzata la storia di Cà Raffaello, iniziata il primo maggio 2014 e conclusa il 22 febbraio scorso con il giudizio di terzo grado, che ha confermato la responsabilità del sacerdote congolese, 50 anni il prossimo dicembre.

C'è stato davvero un omicidio? I giudici rispondono sì. "L'omicidio volontario di Guerrina Piscaglia è frutto di apprezzamento logico derivante da una serie di evidenze indirette" e "l'attribuzione omicidiaria a Gratien Alabi è anch'essa frutto di elaborazione e valutazione congiunta di prove indirette, non essendo stata acquisita nessuna fonte dimostrativa che abbia percepito, nella sua materialità, il fatto storico oggetto dell'imputazione".

Tutte le altre ipotesi alternative, fuga e suicidio in primis, non hanno alcun fondamento e vanno confinate "nell'area della irragionevolezza".

Per la Cassazione la sentenza della Corte di Assise di Arezzo, poi confermata dalla Corte di Assise di Appello di Firenze con alcune differenze nelle motivazioni "costituisce un tutto coerente e organico: ogni punto di essa non può essere preso a sé, ma va posto in relazione agli altri." Come il disegno che viene fuori da un mosaico.

Non è riuscito, dicono i giudici, il tentativo di "disarticolazione" fatto dalla difesa di padre Graziano, con gli avvocati Riziero Angeletti e Francesco Zacheo: "infondato" il ricorso da loro presentato per annullare il verdetto di condanna. Emerge l'apprezzamento per il lavoro svolto dalla procura di Arezzo con il pm Marco Dioni e dai carabinieri, oltre che dai giudici che si sono occupati del caso.

Le motivazioni della Cassazione sono destinate a fare giurisprudenza per casi analoghi di processi indiziari con assenza di cadavere. I giudici si soffermano sul valore degli indizi e sul quadro grave, preciso e concordante che possono formare assieme, anche se presi uno ad uno possano avere un diverso grado di forza. La "concatenazione logica" ha schiacciato padre Graziano.

La Corte riafferma che si può stabilire la responsabilità per omicidio anche in caso di mancato rinvenimento del cadavere. "Ciò risponde ad un criterio logico ed etico: la tesi della inconciliabilità tra una situazione di condanna per omicidio e il mancato rinvenimento del cadavere finirebbe con alimentare a ricorso a pratiche illecite di definitiva soppressione di resti umani, in totale spregio delle regole etiche in tema di rispetto dei defunti".

Sulle modalità dell'omicidio, che per i giudici fiorentini sarebbe avvenuto per strozzamento della donna, si legge: "non può pretendersi dalla prova indiziaria un tasso esplicativo delle modalità realizzative del fatto che vada oltre i limiti ontologici del fatto". 

Respinte le richieste della difesa che voleva risentire testimoni già ascoltati in incidente probatorio e lamentava l'esclusione di un suo consulente esperto in materia di celle telefoniche e tabulati. Nulla, poi, avrebbe cambiato la sostanza del processo.

Su zio Francesco, personaggio di manifesta "inverosimiglianza" tirato in ballo da padre Graziano per allontanare da sé la responsabilità: "Se l'incontro posteriore al primo maggio tra padre Graziano, Guerrina e zio Francesco fosse realmente accaduto ci si sarebbe dovuti attendere da padre Graziano un comportamento del tutto diverso, consistente nel disvelamento alle forze dell'ordine e ai familiari della donna di quanto accaduto". Non parlò per segreto confessionale? Fandonie.

Per la Cassazione, verso le 14 del primo maggio 2014 l'incontro tra il prete e la parrocchiana è "un fatto storico". Ci fu. Venne vista andare verso la canonica e ci fu uno scambio di telefonate e messaggi che si interrompe. Determinanti le attività svolte successivamente con il telefonino della Piscaglia, durante il pomeriggio in cui il frate andò a Sestino per un funerale e una messa. "... ne deriva che l'affermazione per cui Guerrina Piscaglia ha trovato la morte per mano di padre Graziano in quello specifico frangente non può dirsi né illogica né tantomeno apodittica, ma rispondente ai canoni di valutazione della prova indiziaria". 

Resta il dubbio su dove sia avvenuto il delitto: se all'esterno oppure in canonica, a causa del ritardo delle indagini, proprio per il depistaggio di Alabi, partite quattro mesi dopo. A questo proposito si legge che il marito Mirco venne utilizzato fin da subito da padre Graziano come "autore mediato di una falsificazione": gli venne fatto credere che la moglie era scappata con un marocchino affinché accreditasse questa tesi.

Sul rapporto tra Guerrina e il prete si definisce plausibile la "relazione sentimentale e sessuale". Anche se lei disse di non essere corrisposta per "proteggere la persona amata". Il turbamento degli ultimi giorni: "una acuta sofferenza emotiva che avvalora la tesi per la delusione per un comportamento dell'uomo teso a non aderire più alle prospettive coltivate dalla Piscaglia". I suoi sogni si infrangevano sul trasferimento annunciato dal vice parroco e la decisione di non lasciare l'abito.

Il movente. "La ragione essenziale del delitto viene ravvisata nelle difficoltà insorte nella relazione sentimentale".

Conferma, la Cassazione, l'alto valore e la correttezza di acquisizione del messaggino che inguaia padre Graziano, quello inviato col cellulare di Guerrina al prete che solo lui conosceva. Anche se il cellulare del prete nigeriano non venne acquisito, durante le indagini, "la riproduzione fotografica" che fu fatta dell'sms ha "valore documentale". Pesano tutte le riaccensioni del cellulare della Piscaglia, dopo il 2 maggio, per l'invio di messaggi depistanti, in luoghi compatibili con la presenza di Alabi. Non può esserci certezza al centimetro sulla presenza geografica, ma, affermano i giudici, la compresenza a Sestino, dato "inequivoco" ricavata dalla cella in modo incontrovertibile, "è altamente esplicativa dell'intera ricostruzione probatoria".

Inattendibile la testimone che disse di aver visto Guerrina il 2 maggio al comune di Novafeltria. Giusta l'interpretazione di quanto videro o non videro i testimoni sulla Marecchiese, quando Guerrina camminava, su orari e posizioni che risultavano contradditori.

Omicidio volontario e soppressione di cadavere e non preterintenzionale, che sarebbe meno grave: perché "manca il supporto dimostrativo" e il fatto di aver nascosto il corpo e depistato "appare ricollegabile ad una volontà di rendere impossibile la scoperta del fatto di maggiore gravità".

No alla concessione delle attenuanti generiche "non essendo emerso alcun elemento positivo sul fatto o sulla personalità tale da comportare una necessità di attenuazione del trattamento sanzionatorio". Subito dopo il fatto, Gratien ha avuto una condotta tesa "ad una dolosa alterazione della realtà, indicativa di elevata capacità a delinquere".

L'ordine dei Premostratensi, oltre agli inevitabili provvedimenti verso Alabi, avrebbe anche incaricato uno studio legale di Roma per misurarsi con la richiesta danni dei familiari di Guerrina, il marito Mirco e il figlio disabile Lorenzo, che hanno chiamato in causa anche la Curia di Arezzo. Il vescovo di Arezzo a sua volta avrebbe coinvolto nella questione legale la Santa Sede. Gli avvocati Nicola Detti e Francesca Faggiotto, per gli Alessandrini, ritengono che la Chiesa deve risarcire il danno, un milione di euro, per quanto commesso da Gratien Alabi in qualità di sacerdote.

Notizia tratta dal Corriere di Arezzo
© Riproduzione riservata
21/05/2019 21:07:51


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