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Il Corriere della Sera torna sulla vicenda Banca Etruria: risparmiatori ingannati

Il fallimento della banca aretina é una delle vicende più brutte accadute in Italia

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Nella brutta vicenda del fallimento di Banca Etruria, si registra una dura presa di posizione del Corriere della Sera. Per il noto quotidiano nazionale i clienti di Banca Etruria che furono convinti a comprare le obbligazioni subordinate sono stati ingannati. Pur sapendo che il “prodotto” doveva essere destinato esclusivamente agli acquirenti «istituzionali», i responsabili dell’istituto di credito aretino decisero di venderlo anche ai piccoli risparmiatori. Quanto era già stato accertato dall’inchiesta penale, trova conferma nell’esito degli arbitrati condotti dall’Anac, l’autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. L’esame delle istanze ha ormai superato i due terzi e ha raggiunto la percentuale record dell’85 per cento di ricorsi accolti. Tutto questo è già costato allo Stato oltre 14 milioni di euro, ma la cifra rischia di essere ben più alta visto che la somma totale richiesta supera i 30 milioni di euro e la maggior parte dei ricorrenti sembra avere le carte in regola per ottenere l’indennizzo. L’esame delle pratiche fa emergere un altro dato inquietante: i requisiti di chi comprava sono stati modificati per dimostrare che erano informati e dunque consapevoli dei rischi corsi al momento di firmare l’impegno economico. Il caso più eclatante è quello di un’anziana signora alla quale è stato riconosciuto un indennizzo record di 500mila euro proprio perché il suo «profilo» era stato totalmente alterato. Sono 859 le richieste presentate per Etruria da chi si ritiene truffato dal decreto “salvabanche” approvato dal governo Renzi per evitareil fallimento di Etruria, Cariferrara, BanchaMarche e CariChieti. Il provvedimento varato nel novembre 2015 metteva infatti al riparo dalle perdite i semplici risparmiatori e chi aveva investito in obbligazioni ordinarie, ma non ha protetto chi aveva preferito le obbligazioni subordinate. Le commissioni arbitrali create da Cantone hanno finora esaminato 588 istanze per un valore di 18 milioni di euro e ne hanno accolte 495 concedendo il via libera all’erogazione di 14 milioni di euro. Per comprendere il valore di questo risultato basta confrontarlo con quanto sta accadendo per Cariferrara: su 251 pratiche ne sono state accolte 189, ma è significativa la differenza degli importi perché era stato chiesto un indennizzo totale di 4 milioni e 700mila euro, ma sarà versato soltanto un milione e 600mila euro. Sotto processo ad Arezzo ci sono alcuni direttori di filiale accusati proprio di aver truffato i clienti. In una nota diramata nel corso dell’inchiesta i magistrati avevano sottolineato come «gli investimenti in subordinate, su proposta dei responsabili d’area e degli uffici territoriali, sono stati prospettati a vari risparmiatori come investimento sicuro e analogo a quelli in obbligazioni ordinarie e titoli di Stato. Talvolta, il cliente è stato addirittura spinto a effettuare il disinvestimento di operazioni a capitale garantito per favorire l’acquisto delle obbligazioni subordinate, che gli era stato proposto come una promozione della banca rivolta ai propri clienti migliori, ma che doveva essere sottoscritto in tempi brevissimi». Si trattava, in molti casi, di persone anziane o comunque poco erudite però sui moduli il loro “profilo” è stato alterato addirittura facendo passare per laureato chi aveva un titolo di studio assai modesto. Tra i requisiti che i collegi guidati da Cantone devono analizzare c’è proprio la classificazione dei clienti per verificare che l’investitore sia stato «classificato come cliente professionale in assenza dei presupposti previsti». Lo stesso presidente dell’Anac ha più volte evidenziato «l’obbligo di verificare se la banca abbia avuto un comportamento corretto o se ci invece ci sono state negligenze». Il caso più eclatante è quello di una anziana signora che aveva investito tutti i risparmi nelle obbligazioni e di fronte all’Anac ha potuto dimostrare di essere stata rassicurata sul buon investimento: per rendere credibile la sua richiesta hanno omesso di scrivere che aveva soltanto la terza media e nessuna idea di quale fosse la procedura per investire i propri risparmi. Su questa situazione si registra anche la nota della Fabi: Un forte e duro attacco del Corriere della Sera ai dipendenti di quella che era Banca Etruria, da più di un anno confluita in UBI Banca. Si parla sempre della vendita delle obbligazioni subordinate e si continua a scaricare tutte le responsabilità sui lavoratori, potremmo dire “sull’ultima ruota del carro”. Così, a tutela dell’immagine dei colleghi, nel replicare - da semplici sindacalisti locali - ci tocca sottolineare cose da noi dette e ridette.

1) Nei momenti della loro vendita alla clientela, le obbligazioni subordinate erano prodotti “ordinari” in tutte le banche medie e grandi, prodotti che sono diventati improvvisamente pericolosi solo all’emanazione (domenica 22 novembre 2015) del decreto di “risoluzione” di Banca Etruria, Banca Marche, Cari Chieti e Cari Ferrara. In quello stesso anno, si calcola che ve ne fossero in circolazione nel sistema bancario alcune decine di miliardi di euro, a fronte dei 147 milioni della banca aretina e 329 nel totale delle quattro banche coinvolte; in pratica, l’1% del sistema. Chi e come, nel sistema bancario e a maggior ragione tra i lavoratori, poteva immaginare un decreto di “risoluzione” che, alla luce dei precedenti e dei fatti successivi, si può definire un unicum normativo?

2) Fino al decreto, le banche – seppur detto in modo molto semplice – non potevano fallire.

3) Molti lavoratori - e familiari diretti - hanno perso, proprio come i clienti, le loro obbligazioni subordinate.

4) Non erano previsti premi ai lavoratori per la vendita delle subordinate.

5) La loro emissione era avvenuta con la supervisione della Consob e della Banca d’Italia, un’istituzione molto presente in via Calamandrei, come troppo poco viene ricordato. Pur presi nella tempesta degli attacchi ai lavoratori, abbiamo sempre rifiutato la logica della “guerra tra poveri”, quella tra i dipendenti e i clienti, i nostri clienti; una guerra che ha efficacemente distolto lo sguardo dell’opinione pubblica da ben altre e ben più alte responsabilità, vedi Roma o Bruxelles. La FABI, il primo sindacato in Italia tra i bancari, è stata, è e sarà sempre a fianco dei lavoratori della ex Banca Etruria.

Redazione
© Riproduzione riservata
18/02/2019 10:29:00


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