Salute & Benessere Malattie

Fare il bagno nei fiumi e nei laghi: attenti alla “febbre delle lumache”

Non ci sono vaccini per prevenirla

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La schistosomiasi o bilharziosi o febbre delle lumache, è una malattia parassitaria causata da vermi trematodi del genere Schistosoma. Si stima che l’infezione interessi 250 milioni di persone, la maggior parte delle quali in Africa.  

«Le specie patogene per l’uomo sono Schistosoma mansoni, presente in tutta l’Africa, in particolare in quella meridionale e sub-sahariana, nella valle del Nilo in Sudan e in Egitto, in Sud America e in minor proporzione nei Caraibi, S. haematobium, distribuito in tutta l’Africa, in particolare in quella meridionale e sub-sahariana e nella zona del Maghreb e S. japonicum, presente in Indonesia, Cina e Sud Est asiatico- spiega Simone Cacciò, Responsabile del Laboratorio Europeo di Riferimento per i Parassiti (EURLP) presso il Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità - Questi parassiti hanno un ciclo vitale che, oltre all’uomo, comprende diverse specie di lumaca di acqua dolce. 

L’uomo si infetta per esposizione ad uno stadio del parassita, detto cercaria, che è liberato nell’acqua dalla lumaca, e che è in grado di penetrare la cute anche se integra. Le acque dolci, come quelle di fiumi, laghi e canali, pertanto, sono da considerarsi a rischio per la trasmissione della schistosomiasi».  

Nell’organismo umano, le cercarie si sviluppano in schistosomuli, che migrando attraverso la circolazione sanguigna giungono ai polmoni e al sistema portale intraepatico dove dopo circa un mese raggiungono la maturità sessuale, ritrovandosi nel fegato. «A seconda della specie, la localizzazione finale degli adulti può essere il plesso venoso vescicale (S. haematobium) oppure le vene intestinali del tenue, colon e retto (S. mansoni)- chiarisce Maria Angeles Gomez Morales dell’EURLP, che spiega anche- In queste sedi le femmine depongono le uova, da centinaia a migliaia al giorno, che vengono liberate all’esterno con le urine o le feci. L’infezione può decorrere in maniera asintomatica, oppure manifestarsi con sintomi lievi e aspecifici, quali febbre, brividi, tosse e dolori muscolari».  

Per i viaggiatori che abbiano soggiornato in aree endemiche e che presentino questi sintomi, è importante consultare il medico curante e valutare attentamente la cronologia del viaggio e la residenza nei diversi luoghi, poiché queste informazioni sono fondamentali per determinare se l’infezione è probabile e quale specie potrebbe essere coinvolta. 

«Nei soggetti in cui l’infezione cronicizza si registrano seri danni a livello epatico come fibrosi, ipertensione portale ed epatomegalia, o a livello vescicale con uropatia ostruttiva, idronefrosi, carcinoma. La schistosomiasi non può essere prevenuta attraverso vaccinazione, quindi occorre evitare il contatto con acqua di fiumi, canali e laghi, in particolare nei paesi dove la malattia è endemica. Al contrario, le acque delle piscine, se opportunamente trattate, sono da ritenersi sicure» rassicura il dottor Cacciò. 

L’infezione viene curata attraverso l’assunzione di un farmaco antielmintico, il praziquantel. Se l’infezione non viene individuata e trattata, i soggetti infetti possono continuare a eliminare le uova con le urine e le feci, aumentando la contaminazione delle acque e, potenzialmente, il rischio di ulteriore trasmissione.  

«Nell’Unione Europea, infezioni sporadiche sono state documentate in viaggiatori o migranti provenienti da aree endemiche. Gli ultimi casi di trasmissione autoctona sono stati segnalati in Portogallo negli anni ’60. Tra il 2013 e il 2016, tuttavia, sono stati diagnosticati oltre 125 casi di infezioni autoctone di schistosomiasi genitourinaria (S. haematobium) in turisti che avevano fatto il bagno nel fiume Cavu in Corsica, in zone di allevamento di lumache (Bulinus truncatus), vettori specifici del parassita» conclude il dottor Cacciò.  

La Stampa
© Riproduzione riservata
17/09/2018 16:27:56


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