Opinionisti Alessandro Ruzzi

Arezzo, Figline ed i licenziamenti Bekaert

Prossimi, ma lontani eppur vicinissimi.

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Il Valdarno aretino non si sente aretino. Arezzo non sente il Valdarno parte del proprio territorio.

Lo evidenzia la parlata. Naturale, l'attrazione esercitata da Firenze ha sempre sbilanciato le cittadine che eppure fanno parte della provincia aretina. Inoltre l'ambiente sociale ed economico ha spinto il Valdarno lontano dal capoluogo aretino, la precoce industrializzazione ha creato un humus favorevole alla sinistra storica, socialista e comunista. La ferriera e le miniere erano attive mentre Arezzo ed il contado trafficavano con l'aratro. In tempi recenti si parla del distacco di San Giovanni a favore del territorio amministrato da Firenze. Non ci vedo niente di male, da decenni quello è il loro punto di riferimento. Per gli aretini Figline -che è proprio lì attaccata- è territorio fiorentino. Mia madre era nata a Figline, eppure sono stato più spesso a Pisa o Livorno. Ho una sola memoria di una mia presenza nella cittadina di Marsilio Ficino, il 4 novembre 1966 quando l'inondazione dell'Arno bloccò lì un viaggio familiare verso Firenze. Proprio quella alluvione...

Ma quando leggo che la Bekaert ha inviato 318 lettere di licenziamento a tutti gli addetti dello stabilimento di Figline, interrompendo una tradizione produttiva per la cordicella metallica di rinforzo per gli pneumatici che per mezzo secolo è avvenuta coll'insegna Pirelli, non ci sto.

Perchè la delocalizzazione mi ha rotto il cazzo.

Perchè il capitalismo più bieco, quello del profitto senza rispetto, mi ha rotto il cazzo.

Perchè quei lavoratori sono toscani, talvolta aretini (in senso ampio), e vanno difesi due volte.

Perchè questa azienda belga ha margini elevati, un EBIT di oltre 300 milioni€ su 4.100 totali, non si capisce cosa vogliano spostando la produzione in Romania, motivo dei licenziamenti. Salvo rispondere al dio quattrino, perchè là il lavoro costa meno e i loro soci guadagneranno di più.

Se avessero detto: ampliamo la gamma portando lavoro in Romania, nazione che ne ha molto bisogno, mi sarei rammaricato perchè italiani volenterosi potrebbero aver trovato lavoro, ma avrei poi pensato alle necessità rumene e mi sarei rinfrancato.

Ma questo è un operazione a senso unico. Sposta, non crea di più. Fottuto profitto. Al pari di Fiat e altre aziende italiane, dopo aver goduto di enormi benefici statali (rottamazioni o incentivi ad hoc, etc) se ne sono andate in Serbia (Fiat 500L, già mezzo milione prodotte là) o in Polonia (Fiat 500, tutte le altre, già oltre due milioni): non mi chiedete se FCA mi sta simpatica e soprattutto circa quelli che comprando una Fiat 500 pensano di aver aiutato gli italiani (a parte gli Agnelli, gli Elkann, Marchionne, etc). Bischeri di scala globale che danno soldi a Lapo Elkann.

Delocalizzazione fa rima con globalizzazione, per me accettabile se sposta produzioni obsolete e pur rispettose dell'ambiente verso nuove aree, reddito sostituito con altre produzioni a più elevato contenuto tecnologico, non adatte a prima industrializzazione, con beneficio dei consumatori.

Il mondo va alla rovescio, in molti luoghi offrono cineserie a prezzi europei, col paradosso che mia moglie ha comprato buona e abbordabile maglieria italiana nei supermarket cinesi.....

Marketing di stà cippa!

Redazione
© Riproduzione riservata
03/07/2018 09:02:43

Alessandro Ruzzi

Aretino doc, ha conseguito tre lauree universitarie in ambito economico-aziendale, con esperienza in decine di Paesi del mondo. Consulente direzionale e perito del Tribunale, attento osservatore del territorio aretino, ha cessato l'attività per motivi di salute, dedicandosi alla scrittura e lavorando gratuitamente per alcune testate giornalistiche nelle vesti di opinionista. alessandroruzzi@saturnonotizie.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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