Opinionisti Alessandro Ruzzi

Arezzo, come va l'economia?

...e querelle sulla qualità di taluni imprenditori

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Come ogni anno la camera di commercio ha presentato il rapporto economico del territorio riferito all'anno 2017. Numeri che indicano alcune criticità, pur senza le note da approfondire se si vuole superare gli aggregati. Il valore aggiunto provinciale (VAP) continua ad essere ben al di sotto di quello del 2007: siamo al 91,3% di quello che era 10 anni fa.

I modesti ed altalenanti recuperi degli ultimi anni non bastano al pareggio.

Il 63% del VAP viene dall'ampio e variegato settore dei servizi; un 29% dal manifatturiero (quello che nel decennio scorso ne ha buscate di più), al resto (agricoltura, edilizia) valori marginali.

Non ci si faccia ingannare dalla crescita del turismo in provincia, Arezzo vale un misero 3% del totale regionale, fanalino di coda in ogni report. Un aumento in questi parametri viene glorificato oltre misura, ma lunga è la strada.

Previsione di aumento VAP complessivo al poco %, pur con la tenuta dell'export ed il recupero della domanda interna. Ma addolora la disoccupazione che sale. E che risulterà in aumento per le importanti crisi aziendali recentissime (Cantarelli su tutte). E resta infatti elevato il numero di fallimenti, complice una normativa inadeguata. Fresca fresca, la MBF di Piero Mancini, il concordato del 2015 non ha portato lontano, altri 40 lavoratori nell'angoscia.

Anche la storica, per Arezzo, gelati Stocchi va al concordato preventivo, speriamo bene.

Parlando di aziende, occorre sempre tenere presente il rischio di impresa, ma pare un bollettino di guerra. Molto spesso vittime e feriti sono dipendenti e fornitori. Quasi mai gli imprenditori stessi.

Impressionante il numero di aziende “importanti” che finiscono male. E, fatalità, i loro timonieri avevano quasi sempre campeggiato nelle cronache locali come benefattori dell'umanità: in verità osannati da chi beccava dalle loro stesse mani. Cronisti e professionisti a gara prima che si pronunciassero i tribunali. Cantarelli, DelTongo, Castelnuovese, BancaEtruria: ho buttato là 4 nomi, pensateci un attimo e ricordatevi le sviolinate ai primi sinistri scricchiolii. E le telefonate, lettere di avvocati e parole pesanti come reazione alle mie segnalazioni.

La congiuntura è un nemico per tutte le imprese, ma stupisce il pesantissimo ricorso allo indebitamento bancario che accomunava Cantarelli, DelTongo, Castelnuovese, almeno 50 milioni€ ad azienda, cifra che -ripartita sul numero di lavoratori- non può che stupire. Quella col rapporto debito per dipendente più basso, cioè migliore, porta ad una esposizione di 200.000 euro per addetto. Considerato che operativamente quella cifra deve coprire i costi per sedi/impianti e materie prime, dove le seconde sono tessuti o pannelli di legno o mattoni, allora devono essere sbalorditivi sedi ed impianti. Quelle con meno dipendenti hanno un debito pro-addetto ancora maggiore, viene spontaneo chiedersi quali scelte imprenditoriali sbagliate stiano dietro a questi numeri. Alcuni sono imprenditori di seconda generazione, avranno ereditato debiti o beni al loro ingresso in ditta?

Sicuro sono caduti in piedi i professionisti le cui notule sono state saldate, sicuro sono caduti rovinosamente a terra i lavoratori e molti fornitori, un indotto che va in crisi. Sia in DelTongo che Cantarelli molti (alla fine tutti) lavoratori si licenziano che ottenere la cassa integrazione e simili.

Sulla gestione del credito spesso sono andate in crisi molte aziende, eppure BancaEtruria doveva avere una gestione oculata sul territorio, salvaguardandolo invece di concedere soldi ad imprese lontane. Sul profilo della consulenza, altra attività che una banca dovrebbe far bene, forse l'inganno generalizzato conveniva a troppi. Sappiamo come la restrizione del credito sul territorio sia andata a beneficio di bizzarre operazioni, tipo lo yacht interrato. Il prestito d'uso in oro è operazione rischiosa e con ritorni modesti, ma io ricordo -da orafo- come le banche volessero un terzo a garanzia in soldi veri.

Forse con qualcuno si sono distratti, con altri invece sono stati di manica larga, troppo.

Caso opposto nel territorio, quello della Beltrame filiale di S.Giovanni V.no: i nuvoloni che si erano addensati sullo stabilimento metallurgico con circa 60 addetti, con mobilitazione fuori dei cancelli per mesi, sono divenuti pioggerella; certo i sacrifici e le paure non si dimenticano, ma a distanza di mesi è tornato un discreto sereno, l'azienda ha avuto la capacità di investire verso nuovi mercati e ora, con l'utile, ristora almeno in parte i sacrifici economici dei lavoratori. L'azienda veneta pare aver un passo diverso da quelle altre citate, forse anche lavoratori e sindacati non sono quelli della Chiana. Ci sarà mica un problema nella bravura di taluni imprenditori? (Si può dire o mi querelano?) Mi auguro che il recupero torni totale anche come esempio della profonda modifica dell'economia che imprese e stakeholders tutti non possono ignorare. Ed auguri alla annunciata iniziativa sulla tiberina ex Cose di lana, ora Supermaglia: non trovando un compratore, 40 lavoratori (una metà della forza lavoro attuale) intendono costituirsi cooperativa e continuare la produzione in forma più stabile. In bocca al lupo!

Redazione
© Riproduzione riservata
11/06/2018 11:45:42

Alessandro Ruzzi

Aretino doc, ha conseguito tre lauree universitarie in ambito economico-aziendale, con esperienza in decine di Paesi del mondo. Consulente direzionale e perito del Tribunale, attento osservatore del territorio aretino, ha cessato l'attività per motivi di salute, dedicandosi alla scrittura e lavorando gratuitamente per alcune testate giornalistiche nelle vesti di opinionista. alessandroruzzi@saturnonotizie.it


Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono in nessun modo la testata per cui collabora.


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