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Un altro anno in archivio e 4 problemi sempre in attesa di soluzione in Valtiberina

Ex Ferrovia Centrale Umbra, diga di Montedoglio, E45 ed E78: le storie infinite

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Passano gli anni, sembra che la volta buona sia finalmente arrivata, ma poi tutto rimane com'è. O comunque, bisogna attendere chissà quanto per compiere piccoli passi in avanti. Sono i problemi atavici che l'Alta Valle del Tevere tosco-umbra si ritrova a dover risolvere da decenni e decenni e riguardano tutti il capitolo infrastrutture. Visti i gravi ritardi, si dovrebbe parlare di autentiche "vergogne". E noi ne abbiamo scelte quattro, corrispondenti ad altrettante infrastrutture che da decenni ci stanno facendo lavorare come giornalisti: la ex Ferrovia Centrale Umbra, la diga di Montedoglio, la E45 e la E78. A parte la ex Fcu, che è ancora più datata, si tratta di progetti nati negli anni '70, che in due casi sono arrivati a conclusione, seppure con tutte le implicazioni del caso, mentre per ciò che riguarda la E78 l'epilogo è ancora lungo dal consumarsi, tanto che chi ha un'età attorno ai 60 anni comincia a nutrire seri dubbi sul fatto che possa vederla terminata. Andiamo allora a fare il punto della situazione al termine dell'Anno Domini 2017, cercando per quanto possibile di vedere le cose con una prospettiva ottimistica.

FERROVIA SILENZIOSA DA SETTEMBRE PER IL COMPLETO RILANCIO DI UNA TRATTA ORA TRASFERITA A RFI

Dal 13 settembre scorso, nessun treno percorre più la tratta della ex Ferrovia Centrale Umbra. Così è stato deciso per permettere l'effettuazione dei lavori lungo i 157 chilometri della linea che da Terni arriva fino a Sansepolcro (con diramazione da Ponte San Giovanni per Perugia Sant'Anna), attraversando in senso longitudinale l'intera regione. Una decisione che non ha accontentato – e nemmeno convinto – diverse persone: diciamo allora che va bene anche pazientare per un anno intero (così è stato anticipato), se il risultato finale dovesse essere quello promesso e auspicato, ovvero una ferrovia funzionale e messa in sicurezza, oltre che adeguata agli standard europei, come ha sottolineato l'assessore regionale umbro ai trasporti, Giuseppe Chianella. Al posto delle momentanee e ripetute interruzioni, si è preferito uno stop più drastico, per dar modo agli incaricati di lavorare senza alcun tipo di condizionamento. Ci sono per l'esattezza 51 milioni di euro a disposizione, anche per il passaggio a Rete Ferroviaria Italiana. Da oltre un paio di mesi, quindi, gli autobus sostituiscono i convogli ferroviari e le lamentele non mancano: tempi di percorrenza alquanto dilatati (si va intorno alle due ore e mezza per il collegamento fra Sansepolcro e Perugia) e richieste di istituzione di bus più veloci per i chilometraggi più lunghi, al fine di eliminare le fermate intermedie. Il provvedimento di soppressione dei treni aveva già alimentato discussioni e polemiche, perché per qualcuno si sarebbe potuto ugualmente lavorare sulla tratta, ma non è questo che ci interessa: se in fondo la cancellazione momentanea di tutte le corse producesse una riduzione nei tempi di intervento, andrebbe più che bene. E allora – domanda numero uno – è stato detto che occorrerà un anno per mettere a posto la linea: sarà così? Badate bene: va bene anche un anno e mezzo, purchè quando si giunga alla riapertura non vi sia nemmeno una virgola da sistemare. Ma è la domanda numero due quella che interessa veramente: che cosa si vuol fare di questa ferrovia? Ha senso oppure no il tenerla in piedi? Più volte - in periodo pre-elettorale, però – si è parlato di metropolitana di superficie e soprattutto di prolungamento a nord o verso Arezzo, occasione che si era ripresentata subito dopo la fine di una guerra che aveva lacerato la linea, con i ponti fatti saltare in aria. La volontà iniziale era quella di rimettere in piedi il collegamento con Fossato di Vico ma, quando la firma sembrava imminente, ecco che – così si narra - un signore si sarebbe presentato con in mano un sostanzioso assegno e al trasporto su rotaia sarebbe stato preferito quello su gomma. Facile intuire a capo di chi fosse questo signore. Tornando alla realtà contingente, le stazioni dei centri compresi fra Sansepolcro e Umbertide – quindi San Giustino, Selci Lama, Città di Castello e Trestina – sono rimaste tali solo come stabile, perché sostituite dalle biglietterie automatiche; la rielettrificazione è avvenuta a suo tempo, ma si va ancora avanti con l'alimentazione a diesel e inoltre i treni "Minuetto", pagati in maniera salata, sono fermi a Umbertide come se fossero finiti al ricovero. Tutte mosse in contrasto con gli interventi realizzati a metà del decennio scorso, vedi il restauro delle frazioni, la già ricordata elettrificazione e la messa a reddito di alcuni parcheggi, che avevano riacceso qualche speranza. C'era stato anche chi – è il caso di Andrea Lignani Marchesani, ex consigliere regionale umbro ed esponente di Fratelli d'Italia – aveva definito il passaggio a Umbria Mobilità come una vera e propria disgrazia per la ferrovia, perché in questo modo i debiti delle aziende di trasporto su gomma erano venuti a riversarsi su una di collegamenti ferroviari. Sempre Lignani Marchesani, si era espresso chiaramente sulla volontà politica tendente a penalizzare il trasporto su ferro per favorire quello su gomma. Nel momento più difficile della sua storia, con più di una linea interrotta a causa di problemi di stabilità e di obsolescenza, sono venuti fuori questi 51 milioni di euro con assieme il passaggio a Rete Ferroviaria Italiana. Dopo oltre 130 anni complessivi di storia, è il caso di sperare in qualche cosa di buono e soprattutto di capire se la ferrovia che disegna la spina dorsale della regione può avere oppure no una qualche prospettiva per il futuro. Il sostanzioso importo stanziato per i lavori fa pensare positivo.

LA "SPINA DORSALE" DELL'UMBRIA

La storia della ferrovia ci riporta indietro fino agli ultimi anni del XIX secolo. Era infatti il 5 aprile 1886 quando è stato inaugurato il tratto Umbertide-Città di Castello, inserito nella vecchia linea che collegava Arezzo con Fossato di Vico. Dopo le distruzioni dei ponti nel periodo dell'ultima guerra, da Arezzo a Sansepolcro il treno non c'è più. La tratta della ex Ferrovia Centrale Umbra ha una lunghezza di 157 chilometri da Terni a Sansepolcro, ai quali vanno aggiunti i 5 chilometri e 200 metri della diramazione da Ponte San Giovanni a Perugia Sant'Anna; particolare importante: è una linea a scartamento ordinario in concessione, uguale cioè a quella delle Ferrovie dello Stato. Nel 1908, è la Società per le Strade Ferrate del Mediterraneo a ottenere la concessione per la realizzazione e l'esercizio della ferrovia, i cui convogli viaggiano inizialmente a vapore in attesa dell'operazione di elettrificazione. I lavori iniziano nel 1911 e si completano il 12 luglio 1915, giorno dell'inaugurazione del collegamento da Terni a Umbertide, con trazione a vapore. La parentesi della guerra fa rinviare l'elettrificazione al 1920 e durante la seconda guerra mondiale la linea subisce danni al punto tale da dover essere ricostruita. I passi decisivi risalgono a una sessantina di anni fa: il 1956 è un anno importante, perché l'alimentazione viene convertita a 3 kilowatt per centimetro cubo; non solo: il 25 maggio di quell'anno viene inaugurato il pezzo mancante, ovvero i 39 chilometri che uniscono Umbertide con Sansepolcro. Tre anni più tardi, nel 1959, i due esercizi vengono riuniti nelle Ferrovie Umbro Aretine con la sigla di Mua, ovvero Mediterranea Umbro Aretina. C'è ancora qualcuno più attempato che pronuncia Mua per indicare il treno, nonostante alla fine degli anni '70 – con l'intervento della Provincia di Perugia per la sua acquisizione, che la salva dal fallimento – la nuova denominazione sia quella di Ferrovia Centrale Umbra (Fcu). Negli anni '60, vengono introdotti i passaggi a livello automatizzati con segnalazione ottica e acustica. La legge numero 526 del 7 agosto 1982 trasforma la Fcu in ferrovia a gestione commissariale governativa e nel 1993 lungo le rotaie scorrono quasi in esclusiva motrici a trazione diesel; nel frattempo, continuano a verificarsi incidenti mortali (li ricordiamo anche a Sansepolcro) e allora nella seconda metà degli anni '90 si procede con l'eliminazione dei passaggi a livello incustoditi per introdurvi le barriere o per sostituirli con i sottopassi. Fra le corse giornaliere, c'è anche quella per Roma in andata e ritorno a bordo di carrozza di seconda classe. Nel 2000, la Ferrovia Centrale Umbra diventa s.r.l. a totale capitale pubblico regionale e la tratta Terni-Sansepolcro viene solo parzialmente elettrificata a 3000 volt a corrente continua, per cui si va avanti in maggioranza con la trazione diesel. Al 2005 risale il servizio diretto Sansepolcro-Perugia-Terni-Roma, attivo dal lunedì al venerdì e nel 2006 iniziano i lavori per la rielettrificazione a 3 kilowatt dell'intera linea ferroviaria, al fine di garantire standard di sicurezza elevati con il sistema elettronico Tcms. La società Ferrovia Centrale Umbra s.r.l. ha già acquistato nuovi elettrotreni distribuiti dalla Alstom, l'ultimo modello dei treni già utilizzati da Trenitalia con il marchio registrato di "Minuetto". Il nome assegnato dalla Fcu a questi treni è "Pinturicchio", che nel febbraio 2009 entra regolarmente in circolazione anche sul percorso da Sansepolcro a Ponte San Giovanni. Infine, dal 1° dicembre 2010 la Fcu è confluita con altre aziende regionali del settore nella neo-costituita Umbria Mobilità.

MONTEDOGLIO: UNA FERITA LUNGA SETTE ANNI

Una storia di durata trentennale, quella che lega l'idea originaria con la realizzazione della diga di Montedoglio. Si va dall'inizio degli anni '60 all'inizio degli anni '90, poi l'incidente del 29 dicembre 2010, che assieme ai conci della parete di sfioro fa cadere anche le certezze assolute della popolazione della vallata sul grado di sicurezza del bacino artificiale. Un autentico "colpo di scena", perché fino a quel momento era stata nostra convinzione il fatto che i problemi di Montedoglio fossero ben altri. Invece, si era posto all'improvviso quello principale: quello sul quale non avevamo mai avuto dubbi e sul quale per anni e anni avevamo dormito sonni tranquilli. Prima di affrontare l'aspetto sicurezza (che ovviamente diventa il più importante), ricordiamo le implicazioni emerse in precedenza, a cominciare dal collegamento con la diga più piccola sul torrente Sovara; se quest'ultima non viene gestita con un'adeguata regolazione anche nella chiusura e apertura delle paratoie, succede come nel novembre del 2016, quando le abbondanti piogge hanno fatto esondare il torrente, perché non vi è stato contenimento da parte del bacino. In secondo luogo, il trattamento riservato alla Valtiberina Toscana non ha tenuto conto del sacrificio da essa sostenuto, ovvero una fetta di territorio eliminata per riservarla all'invaso, con un paese (Madonnuccia) sommerso nel suo nucleo originale e poi ricostruito in collina. Non solo: la Valtiberina può pure beneficiare dell'acqua per cascata, ma nulla di ciò è servito per ottenere un qualche tipo di sgravio in bolletta. Eccoci nel merito dell'utilizzo di un invaso che, a seguito della grande siccità di quest'anno, ha visto il proprio livello di acqua raggiungere il minimo storico. Era stato concepito per alimentare il lago Trasimeno e per garantire comunque approvigionamento all'agricoltura locale; sotto questo profilo, la funzione di Montedoglio è stata espletata in pieno: anzi, più volte nei periodi di siccità la presenza dell'invaso si è rivelata fondamentale così come, al contrario, ha potuto limare le piene in caso di piogge intense. Visto il gran secco del 2017, di posto per raccogliere acqua ne ha tanto e l'auspicio è quello che il suo livello torni a innalzarsi dopo aver toccato il minimo storico. Ma le cause di una situazione del genere non sono di certo attribuibili a persone o enti, mentre sul crollo del muro di sfioro l'accertata qualità scadente di ferro e cemento indica che le responsabilità ci sono. Sulla questione specifica, attendiamo fiduciosi il momento nel quale si potrà procedere con il ripristino dei conci, sapendo che sette anni sono già trascorsi e che forse – anche pensando agli interessi legati a un'acqua che faceva gola da più parti – i lavori di riparazione sarebbero subito partiti. O comunque, in tempi più celeri: invece niente, anche se il neopresidente di Ente Acque Umbre Toscane, Domenico Caprini, parla di sblocco oramai imminente. Ci trova d'accordo la proposta di abbassare il nuovo massimo livello di un metro: certamente, il volume totale sarà inferiore di qualche milione di metri cubi d'acqua sui circa 150 previsti, ma la sicurezza maggiore. Tornando a quelli che potremmo definire i "peccati originali" di Montedoglio, li possiamo raggruppare in un unico comune denominatore di fondo: l'esigenza di costruire e di gestire questo invaso secondo la logica del mero "vascone" di servizio, senza pensare che si tratta invece di una infrastruttura inserita in un contesto paesaggistico e in un territorio a rischio sismico, con scosse di terremoto che hanno avuto per epicentro proprio la zona di Montedoglio. Il risultato è quello che metaforicamente ripete da più tempo il sindaco Albano Bragagni di Pieve Santo Stefano: "Montedoglio non può essere utilizzato come un catino, che si riempie e si svuota con escursioni volumetriche piuttosto marcate". Deve pertanto essere fissato un livello minimo sotto il quale non sia possibile scendere, altrimenti questo continuo "riempi e svuota" provocherà una destabilizzazione sempre maggiore delle sponde del lago, come piccole frane e piccoli crolli stanno dimostrando già ora. Il contenimento delle oscillazioni diventa pertanto un'operazione quantomeno opportuna. Collegata a questa forma di conduzione della diga è poi la seconda implicazione, ovvero la sua valorizzazione in chiave turistica. È chiaro che, quando esistono sbalzi di livello nell'acqua di un lago, vuol dire che la valorizzazione turistica non rientra nei programmi. Diciamolo ancora meglio: la fruizione dal punto di vista turistico non era nemmeno nei pensieri di chi avrebbe dovuto invece avere la giusta intuizione in tal senso: un lago di servizio e niente altro. Invece un lago, naturale o artificiale che sia (peraltro quello di Montedoglio è il più grande della Toscana), è sempre un qualcosa di interessante sul piano paesaggistico, specie se incastonato fra le verdi colline appenniniche della vallata, ma soltanto gli appassionati del surf hanno tentato di fare qualcosa e di ravvivare Montedoglio, luogo ideale anche per la pratica della pesca sportiva. Per non parlare dei fondali della diga: il tempo di costruire gli sbarramenti e di buttar giù le vecchie case; per il resto, nessuna sistemazione: soltanto acqua che ha man mano riempito l'invaso.

QUARANT'ANNI FA IL VIA AI LAVORI E NEL 1993 LA CONCLUSIONE

Anche Montedoglio ha la sua bella "telenovela" alle spalle, che prende il via negli anni '60 e si conclude negli anni '90, ma con l'incredibile quanto oramai nota coda di fine 2010. La diga ha coperto una buona porzione all'interno del vasto territorio di Pieve Santo Stefano (sul quale insiste l'80% dello specchio d'acqua) e, in misura più contenuta, di quelli di Sansepolcro, Anghiari e Caprese Michelangelo. Alla base della sua realizzazione, la necessità di fornire risorsa idrica per l'irrigazione e per le abitazioni del complesso irriguo delle province di Arezzo, Perugia, Siena e Terni; l'idea da mettere in atto era allora divenuta quella di realizzare un bacino artificiale. La diga di Montedoglio è stata progettata dal professor Filippo Arredi e dall'ingegner Ugo Ravaglioli; i lavori, iniziati nel 1977, si sono conclusi nel 1993, anche se il riempimento era già iniziato nel 1990. La Valtiberina Toscana, per fare spazio a questo invaso, si è privata di 7,7 chilometri quadrati di superficie; o meglio, li ha trasformati da terra in acqua. E anche un paese è scomparso: si tratta della frazione pievana di Madonnuccia, almeno per ciò che riguarda il nucleo originario. La nuova Madonnuccia è stata ricostruita sulla collina di sopra, in località Poggiolino e qui dal 1980 risiedono i suoi abitanti, trasferiti in alloggi di edilizia popolare. Della vecchia Madonnuccia e del suo contorno rimangono alcuni reperti materiali e soprattutto ricordi fotografici; il resto è finito sott'acqua. Quando una cinquantina di anni fa vennero effettuati gli studi degli esperti, esisteva l'ente autonomo per la bonifica, l'irrigazione e la valorizzazione fondiaria, che abbracciava le quattro province sopra ricordate: Arezzo, Perugia, Siena e Terni. Poi, nel 1991 è divenuto Ente Irriguo Umbro Toscano e dal 2011 Ente Acque Umbre Toscane; la diga di Montedoglio rientrava nel piano irriguo per l'Italia centrale e i lavori sono stati portati a termine dalla Lodigiani spa, oggi Impregilo, anche se poi sulla parete interna dello sbarramento della diga era stato scritto a grandi lettere (ben leggibile dal versante di Madonnuccia) il nome di Cogefar, altra impresa confluita nell'unica società di costruzioni. Appena un anno e 8 mesi prima del cedimento dei conci della diga, si era verificato il violento terremoto all'Aquila e la Impregilo era stata coinvolta per il crollo dell'ospedale del capoluogo abruzzese. Il cedimento dei tre conci della parete di sfioro, avvenuto la sera del 29 dicembre 2010, ha fatto purtroppo crollare anche una bella fetta di quella fiducia e sicurezza che i cittadini della vallata avevano fino a quel momento nutrito nei confronti della diga. Garanzie assolute sulla tenuta e sulla stabilità che all'improvviso, da quel momento, sono venute meno.

LA E45, LE SUE CARENZE E IL CONTINUO "WALZER" DEI CANTIERI

Sulla strada di grande comunicazione Orte-Ravenna, più conosciuta come E45, la "letteratura" non si è di certo risparmiata, prendendo in esame tutti i tratti dell'arteria. Più volte, le trasmissioni d'inchiesta della Rai, di Mediaset e di altre emittenti nazionali si sono soffermate sulle pietose condizioni di questa direttrice a quattro corsie. Un viaggio indagine che ha messo a nudo tutte le carenze della E45 e il suo scarso grado di manutenzione, al punto tale da essere stata ribattezzata la Salerno-Reggio Calabria del centro-nord. Con la differenza che la A3 è stata da non molto risistemata. Imputato numero uno: l'asfalto, che lascia a desiderare un po' su tutti i tratti, con rattoppi continui e fondo stradale rifatto in pezze. Essendo la superstrada che permette di attraversare longitudinalmente una buona parte di Italia centrale e settentrionale senza pagare il pedaggio, ben presto si è trasformata in una "camionabile", ovvero in una direttrice ad alta intensità di traffico per ciò che riguarda i veicoli pesanti. Ma anche i turisti stranieri la conoscono e la percorrono, perché diventa un asse ideale, un trait d'union che unisce tutti i borghi medievali e rinascimentali: Sarsina, Bagno di Romagna, Sansepolcro, Città di Castello, Umbertide, Perugia, Torgiano e Todi. E dire che la E45 ha una importanza strategica anche nelle vesti di alternativa numero uno all'autostrada A1, della quale costituisce la direttrice parallela; in più di una circostanza, ha infatti sostituito la stessa A1 quando le abbondanti nevicate l'avevano paralizzata nel tratto appenninico da Firenze a Bologna. Una direttrice viaria che avrebbe tutti i giusti requisiti per più motivi (storico-artistico ed economico) e che invece è un cantiere perpetuo: è pressochè impossibile percorrere un tratto, anche non lungo, della E45 senza imbattersi in un restringimento o in un salto di carreggiata, quando addirittura non vi sono una deviazione o una uscita obbligatoria perché magari c'è un viadotto da sistemare o da rifare, oppure una galleria da mettere in sicurezza. Il caso più significativo è quello del viadotto del Fornello (nemmeno 300 metri di lunghezza), all'altezza dell'uscita di Verghereto: ci sono voluti sette anni per chiudere questo capitolo, con i veicoli costretti a deviare sulla provinciale 137, che comportava la perdita di diversi minuti; anche il rifacimento del viadotto della Bisolla, sopra l'invaso di Montedoglio, ha imposto per diverso tempo la deviazione sulla provinciale 77. L'asfalto con pezze chiare e scure di catrame (dipende da quando è stato steso) appartiene oramai all'ordinarietà e più volte l'esperienza ha fatto capire come il freddo o le piogge copiose siano sufficienti per far riaprire le buche e quindi per rendere sconnesso il manto stradale. Il ghiaccio e il sale sparso durante il periodo invernale sortiscono i loro effetti letali in primavera, quando definire disastrate le condizioni della E45 diventa quasi un eufemismo. A questo, aggiungere l'assenza delle corsie di emergenza e, quando si circola sopra i viadotti, le ruote evidenziano il contatto con i giunti dei viadotti. Le piazzole di sosta laterali esistono, anche se non abbondano, specie sui tratti che sovrastano l'Appennino; c'è poi chi lamenta la mancanza di cestini per i rifiuti e di colonnine per chiedere soccorso, oltre che le dimensioni ristrette, soprattutto se a sostare dovesse essere un mezzo pesante. Se poi si dovesse incappare in un imprevisto e fermarsi all'improvviso durante la marcia, l'auto rimarrebbe nella carreggiata, non essendovi la corsia di emergenza. La E45 paga sostanzialmente il difetto di fondo, ovvero la realizzazione avvenuta in tempi differiti dei suoi lotti: alcuni pronti già 40 anni fa, altri fatti dopo dieci anni e altri ancora completati dopo 25, ragion per cui anche la turnazione e la rotazione negli interventi di manutenzione – in base alle epoche appena specificate – fa sì che difficilmente la strada sia priva di cantieri al lavoro. Per non parlare poi delle inchieste avviate dalle varie Procure sulla qualità dei materiali (alludiamo a ferro e cemento) con i quali sono stati costruiti ponti e viadotti.

ALTERNATIVA ALLE AUTOSTRADE A1 E A14 VOLUTA DA BENIGNO ZACCAGNINI

L'idea di realizzare la E45 sarebbe da attribuire al ravennate Benigno Zaccagnini, figura storica della Democrazia Cristiana, partito del quale è stato segretario politico, non dimenticando i suoi incarichi di deputato e ministro, che negli anni '50 aveva pensato a un'alternativa viaria economica rispetto alle autostrade A1 e A14. Un contributo determinante per far passare tracciato della superstrada in Alto Savio lo dette poi Lorenzo Cappelli, sindaco storico di Sarsina e poi parlamentare sempre della Dc, nonché presidente della Camera di Commercio di Forlì. L'asse Cesena-Roma era stato inserito nella Convenzione di Ginevra sulle strade europee fin dal 1950, ma le pressioni di Forlì e Rimini per deviare questa "autostrada aperta" nel proprio territorio furono fortissime, anche se prive di successo. Esattamente dieci anni fa, nel 2007, in una intervista al Corriere Cesenate il senatore Cappelli lamentò l'atteggiamento della sinistra nei confronti della infrastruttura: ostilità prima e disinteresse poi, con la complicità della Regione Emilia Romagna. Un atteggiamento che fece procedere a singhiozzo i cantieri, ma le lentezze procedurali non hanno caratterizzato soltanto il tratto romagnolo, che pure è arrivato per ultimo all'appello. Basterà ricordare cosa è avvenuto per esempio in Umbria: se da Ponte San Giovanni in giù la E7 – questa la sigla iniziale – era a posto fin dagli anni '70, per arrivare fino a San Giustino (la cui uscita è stata per diverso tempo una sorta di capolinea sud del tratto che partiva da Pieve Santo Stefano) si è dovuto attendere il 1982, quando il lungo tratto dell'Umbria nord è entrato in funzione con la novità del muro divisorio centrale new-jersey, perché per esempio all'altezza di Sansepolcro le quattro corsie non erano separate e diversi incidenti stradali (dalle conseguenze anche mortali in qualche caso) si sono verificati proprio per questo motivo. In Romagna, almeno per ciò che riguarda la dorsale appenninica, all'inizio degli anni '80 c'erano ancora i piloni che avrebbero sorretto i viadotti. Ed è proprio in quel periodo che, con l'arrivo di finanziamenti statali, la Regione Emilia Romagna ha modificato il proprio atteggiamento; anche se l'inflazione dilagava, le ditte non riuscivano a rispettare i costi concordati e un nuovo quadro normativo, come la legge sulla tutela dei fiumi, costrinse a riprogettare lunghi tratti dell'arteria stradale, come per esempio la galleria di Quarto. All'inizio degli anni '90, la E45 è quasi completata: mancano soltanto pochi chilometri, quelli che costringono a uscire dopo San Piero in Bagno (per chi si dirige verso Cesena e Ravenna) e a rientrare a Sarsina. È il tratto della galleria di Quarto (la più lunga in assoluto con i suoi 2600 metri), all'interno della quale vi sono problemi ai ventilatori, a ritardare i tempi, ma il 6 maggio 1996 viene inaugurato anche l'ultimo pezzo, seppure in una sola direzione, alla presenza dell'allora presidente della Regione Emilia Romagna, Pier Luigi Bersani, che di lì a qualche giorno sarebbe diventato ministro. La cerimonia conclusiva, quella che dà al 100% un senso compiuto alla E45, è datata 16 luglio 1996; per l'occasione, arriva il ministro dei lavori pubblici, Antonio Di Pietro. Nonostante i problemi sopra esposti, la E45 c'è e la sua utilità è indubbia, se soltanto si pensa alle peripezie vissute in passato dai camionisti nell'attraversare con neve e ghiaccio il valico di Verghereto, anche se i tanti anni nei quali la sua costruzione è stata diluita l'hanno resa vecchia ancor prima di essere nuova. In questi ultimi tempi, il dibattito si è incentrato sulla trasformazione in autostrada, nell'ambito di un collegamento fra Civitavecchia, Orte e Mestre che avrebbe dovuto rappresentare il futuro della superstrada e della via Romea. Si era parlato anche della soluzione del project financing, con tutte le difficoltà del caso. È stato il ministro Graziano Delrio a stralciare l'opera dal Documento di Economia e Finanza (Def), garantendo in seconda battuta - assieme all'Anas - una riqualificazione dell'arteria con impegni in termini di sostanziosi finanziamenti che riguarderanno asfaltature, barriere laterali e centrali, gallerie e messa in sicurezza più in generale. Fiduciosi attendiamo.

E78, LA GRANDE INCOMPIUTA

Il capitolo della strada di grande comunicazione E78 Grosseto-Fano, detta anche superstrada dei "Due mari", è quello sul quale i motivi per arrossire - da parte dell'Alta Valle del Tevere - sono i maggiori. Inutile negarlo: il ritardo di questo comprensorio è diventato pazzesco a causa delle tante diatribe fra i Comuni iniziate venti anni fa. Se prima di allora c'era stata la battaglia per ospitarla, da un certo momento in poi la spinta ambientalista è stata tale che ognuno - per motivi legati a quella legge o leggina – ha avanzato ragioni valide per non averla nel proprio territorio. Come dire: la E78 è importante e strategica, purchè non passi di qui, ma dal mio vicino. E questo ha prodotto un risultato sostanziale e altri consequenziali: a distanza di oltre 50 anni, non vi è ancora un progetto definitivo per collegare Le Ville di Monterchi (paese peraltro soggetto a congestionamenti di traffico) con il traforo della Guinza, del quale è stata realizzata soltanto una canna. E poi, i continui litigi hanno spianato il fianco a una regione, l'Umbria, che ha colto al balzo l'opportunità per realizzare il famoso "quadrilatero" Perugia-Ancona-Civitanova Marche-Foligno, collegando attraverso un breve segmento di E45 il raccordo Bettolle-Perugia. Questa strada è intanto più centrale per la Regione e la taglia in trasversale, mentre quello della E78 è un piccolo pezzo di quasi 15 chilometri sul versante nord. Di fronte a simili premesse, la Regione ha scelto spedita la soluzione del "quadrilatero", che oggi garantisce collegamenti rapidi fra Foligno e l'Adriatico, con nuovi rapporti e scambi commerciali che sono nati proprio grazie all'opportunità offerta dalla nuova direttrice viaria, una sorta di autostrada senza caselli e pedaggio. E la E78? Va avanti con i proclami che escono fuori di tanto in tanto (riunioni e tavoli congiunti fra le tre Regioni interessate), ma all'atto pratico nulla. I comitati che esistevano non sono scomparsi, mentre né i concorsi di idee, né le proposte delle singole Regioni, né le valutazioni di impatto ambientale sono finora riusciti a risolvere il rebus. Per anni e anni, è stato "braccio di ferro" fra Citerna e Monterchi da una parte (Valcerfone, Valsovara o galleria sotto Citerna) e fra San Giustino e Città di Castello per l'attraversamento a nord o a sud di Selci Lama, oppure per la zona industriale di Cerbara: quattro Comuni incapaci di trovare un accordo e allora propensi a rimetterli nelle mani delle istituzioni superiori, ma pronti poi a contestare qualsiasi decisione, definendola motivata soltanto da meri fini strumentali. Non riuscendo a trovare il bandolo della matassa, dopo oltre 50 anni, si è pensato a fare di tutto, anche al project financing con istituzione del pedaggio (e con sconti per i residenti), ma anche questa ipotesi è saltata. L'ultima in ordine di tempo non vogliamo giudicarla, anche se rimane pur sempre particolare e forse unica: per agganciare una quattro corsie e unirla a un altro tratto a quattro corsie, è stata pensata la soluzione delle due corsie allargate, quasi come se per l'Alta Valle del Tevere fosse il giusto compromesso per dare continuità alla strada senza però stravolgere l'ambiente. Anche la Guinza non avrebbe così più bisogno della seconda canna: si circolerebbe a doppio senso in quella realizzata. In fondo, con l'entrata in esercizio del "quadrilatero", il grosso del traffico si sarebbe riversato verso Perugia e Foligno, quindi – si sostiene - anche due sole corsie potrebbero sopportare la mole di traffico della E78. Ma anche in questo caso c'è chi ha contestato la specifica proposta, definendola assurda, perché per il rilancio dell'economia locale occorrono le quattro corsie e quindi l'Anas è stata invitata a modificare il progetto. Certa è una cosa: le due corsie semplificano la situazione, ma soltanto fino a un certo punto, perché comunque non possono essere paragonate una normale strada statale. È necessaria infatti una maggiore larghezza della carreggiata e poi per salire fino alla Guinza occorre di fatto costruire la strada, perché quella attuale non può certo garantire anche una normale mole di traffico. Andiamo adesso a riepilogare la situazione lungo i circa 300 chilometri di sviluppo della "Due mari". Quasi completata l'arteria nel tratto iniziale che da Grosseto procede verso Siena, con la sistemazione delle gallerie e dei tratti situati spesso anche nei punti orografici più difficili, i problemi sorgono man mano che da Siena si prosegue verso Arezzo e l'Umbria. Il raccordo Siena-Bettolle è a posto, nel senso che ora ci sono regolarmente le quattro corsie; i problemi iniziano poco prima di Sinalunga, allo svincolo di Rigomagno: non c'è nulla e chi vuol procedere verso Arezzo, lungo l'immaginario asse della E78, deve salire fino a Lucignano - affrontando qualche tornante - e percorrere alcuni chilometri di saliscendi per arrivare a Monte San Savino, dove la quattro corsie ricomincia per interrompersi dopo 13 chilometri all'altezza della zona industriale di San Zeno, alle porte di Arezzo; qui si entra nella circonvallazione del capoluogo e da risolvere c'è un altro dei "punti caldi" della superstrada: il nodo di Olmo. Da Arezzo verso la Valtiberina, il raccordo del Torrino è oramai in funzione da tempo al posto della vecchia statale 73 sul valico dello Scopetone; come si nota all'altezza dei ponti, dei viadotti e della galleria "La Giostra", tutto è predisposto per un'arteria a quattro corsie, che diventa tale poco prima di Palazzo del Pero, frazione rimata defilata. Il tratto fino a Le Ville è stato inaugurato per intero esattamente dieci anni fa, il 10 dicembre 2007, anche se in una parte di esso – quella da Molin Nuovo a Le Ville – i veicoli circolavano già dal luglio del 1998. Iniziati nel 1993, i lavori di questo tratto hanno subito sospensioni e interruzioni sia per i problemi economici di qualche ditta aggiudicataria dell'appalto, sia per l'ostruzionismo dei Verdi. Dalla periferia di Le Ville fino alla Guinza (galleria lunga sei chilometri, rigorosamente rettilinei, che permetterebbe di aggirare il valico di Bocca Trabaria da Parnacciano di San Giustino fino a Mercatello sul Metauro), tutto fermo: da San Giustino a Mercatello sul Metauro occorrono oggi 40 minuti di auto sulla statale 73 bis per un chilometraggio inferiore. Nulla di nulla fino a Fermignano, da dove la strada riparte fino a Fano. Risultato finale: per andare da Grosseto a Fano ci vogliono 4 ore e 20 minuti; con la superstrada e la Guinza aperta ne occorrerebbero esattamente due in meno. Per stringere i tempi, era stata persino studiata la soluzione di Centralia, società di progetto che avrebbe dovuto realizzare la Grosseto-Fano a quattro corsie. C'erano i Ministeri, le tre Regioni e l'Anas, ma in poco più di anno Centralia è passata dalla costituzione alla liquidazione. E siamo alle ultime notizie: in settembre, l'Anas ha ufficializzato una prima ipotesi di studio progettuale, a valere sul piano pluriennale degli investimenti 2016-2020, che prevede un investimento di 100 milioni di euro per l'adeguamento a due corsie del tratto Selci Lama-la Guinza, la sovrapposizione con la viabilità locale e la realizzazione di ben 7 rotatorie in 10 chilometri. I tratti non in territorio umbro saranno tutti a quattro corsie: il 21 settembre, il governo ha ufficializzato gli stanziamenti previsti per i vari lotti di completamento nel tratto Umbria-Marche, per un investimento che ammonta a 522 milioni di euro. Al momento, mancherebbero oltre 200 milioni di risorse finanziarie. Nelle Marche, c'è molto interesse attorno alla conclusione di questa lunga "telenovela", mentre in Alta Valle del Tevere – come ha avuto già modo di dire l'ex consigliere regionale umbro Gianluca Cirignoni – è "stupefacente il silenzio della politica e delle istituzioni".

"PONTE DI TERRA" FRA LA SPAGNA E I BALCANI

La "Due mari" è frutto dell'intuizione, senza dubbio saggia, avuta decenni addietro da chi era convinto che i collegamenti strategici non fossero soltanto quelli longitudinali, ma che anche quelli trasversali rivestissero la loro importanza. La superstrada E78 (fermo restando che adoperiamo il presente a realizzazione non ancora completata) ha una lunghezza totale di 290 chilometri e tocca tre regioni: la Toscana, che nel proprio territorio ha la fetta maggiore del tracciato con il 61%; l'Umbria, che ha invece la parte minore con l'8% (soltanto 15 chilometri) e infine le Marche, alle quali appartiene il restante 31%. Il progetto ha goduto di un'attenzione da parte dell'Unione Europea ed è stato inserito nella rete transeuropea "Ten-T", che collega la Spagna con i Balcani e i porti di Barcellona e Valencia con quelli di Livorno, Ancona, Bar in Montenegro e Ploce in Croazia, per cui il tratto Grosseto-Fano è considerato il "ponte di terra"("land bridge") della grande rete europea. Quando la E78 venne concepita, la finalità prevalente era quella di aiutare le realtà di montagna (e quindi le più svantaggiate) a uscire dall'isolamento e dalla marginalità rispetto a quelle più dinamiche del nostro Paese. Per questo motivo, la Grosseto-Fano è stata inserita fra gli itinerari internazionali con la sigla E78, a seguito dell'accordo europeo sulle grandi strade a traffico internazionale, firmato a Ginevra nel 1975/'76 e poi recepito con legge dello Stato n. 922 del 29 novembre 1980. Purtroppo, a distanza di quasi 40 anni, vi sono ancora gravi ritardi: punti nei quali l'asse della superstrada coincide con quello della viabilità ordinaria e punti nei quali non esiste. In Alta Valle del Tevere vige la situazione peggiore fra quelle pregresse, perché tante sono state le ipotesi di tracciato avanzate e nessuna ha preso finora corpo, fino addirittura a ipotizzare una due corsie allargata in mezzo a un contesto sviluppato a quattro. Da Le Ville Monterchi fino al traforo della Guinza, non vi è in pratica niente di definitivo nemmeno sulla carta. Nell'Aretino, da risolvere il problema del nodo di Olmo e del raddoppio del tratto del Torrino, mentre in territorio marchigiano manca il collegamento fra Mercatello sul Metauro e Fermignano; insomma, dovremo attendere che i capelli si colorino interamente di bianco per vedere la "Due mari" completata?

Come si può notare, le debolezze della valle bagnata dal Tevere, senza distinzione di versanti fra Toscana e Umbria, si manifestano nella loro evidenza quando si parla di infrastrutture, anche se poi non ci sono soltanto quelle. Una zona appetibile, ma soltanto quando deve fungere da strumento utile per il soddisfacimento di interessi superiori; per il resto, dimenticata e messa ai margini. Checchè se ne dica, l'isolamento dal punto di vista infrastrutturale costituisce un difetto sempre più grosso e l'ostacolo chiave per chi vuol programmare uno sviluppo economico. E se siamo lasciati ai margini, in gran parte lo si deve a un peso politico davvero risicato, per non dire nullo: non abbiamo esponenti politici di particolare carisma (siamo per carità anche un bacino elettorale ridotto), né però facciamo qualcosa tutti insieme perché questa realtà possa essere tenuta almeno nella dovuta considerazione. Il discorso vale in particolare per il versante toscano e se qualcuno pensa che siano gli altri a doverci cercare, si sbaglia di grosso; la realtà insegna però che comprensori più piccoli del nostro hanno alla fine ottenuto qualcosa perché ogni due giorni c'era un loro rappresentante a bussare alla porta, cosa che invece non accade qui. E allora, è normale che della Valtiberina nessuno si ricordi.

Inchiesta tratta dal periodico l'Eco del Tevere

Nella foto: la canna realizzata del traforo della Guinza

Redazione
© Riproduzione riservata
05/01/2018 09:45:27


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